Ritratto di Andrea Giostra
Autore Andrea Giostra :: 15 Novembre 2019

Vincenzo Bocciarelli: «Mi definisco in un certo senso un attore medianico. Non faccio ma vivo totalmente e completamente il personaggio. Vincenzo non esiste più... il che a volte mi spaventa, ma non amo fare le cose tanto per fare»

Vincenzo Bocciarelli

Ciao Vincenzo, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista della settima arte?
Grazie a voi dell’invito. Mi fa piacere cogliere l’occasione di questa intervista per aprire, raccontare alcune parti di me che sono in continuo mutamento. Sono un curioso, affascinato da tutto ciò che ruota, a volte vorticosamente, intorno a me. Mi sento sempre il ragazzino stupito ed entusiasta degli anni ‘90 con una gran voglia di imparare, innamorato del mestiere, a mio avviso, più bello del mondo che ci permette di creare una osmosi con il pubblico, con l’humanitas.

Qual è il percorso artistico che hai seguito e che ti ha condotto dove sei ora?
Sono cresciuto in una città straordinaria, Siena, dove attraverso lo studio della pittura ho capito dal principio, quanto fosse fondamentale sviluppare la capacità di osservare, soffermarsi sul particolare fino al punto di farlo proprio. L’importanza del creare usando le proprie mani, il proprio corpo in modo artigianale, vero, autentico e umile. Dall’arte pittorica al palcoscenico prima al Piccolo Teatro di Siena fondato dalla baronessa Sergardi e poi l’approdo al Piccolo Teatro d’Europa del grande e immenso Giorgio Strehler passando per una borsa di studio vinta in Calabria per l’esattezza a Palmi dove ho avuto modo di studiare con eccellenti maestri internazionali. Ho debuttato giovanissimo nel Faust Festival regia di Strehler che mi ha voluto reclutare nello spettacolo che durava circa sei ore, in scena in due parti, in due giorni di seguito, accanto a Tino Carraro, Giulia Lazzarini, Franco Graziosi e tanti altri nomi eccelsi del teatro. Di seguito gli anni delle lunghe tournée con grandi compagnie e ruoli importanti come Ariel nella Tempesta, Edgar nel Re Lear, Lhoman nell’Angelo Azzurro con Giorgio Albertazzi e via via di seguito...

Come definiresti il tuo stile recitativo? C’è qualche attore al quale ti ispiri?
Bella domanda. Pensandoci bene quando dipingo penso alla Magnani, al suo essere graffiante e penetrante, a Buster Keaton celebre attore del cinema muto, alla capacità interpretativa di Milva e all’immortale Marcello Mastroianni. Quando affronto e costruisco i personaggi chiedo aiuto all’arte pittorica, scultoria. Cerco tra le raffigurazioni di Lorenzetti, Duccio di Boninsegna piuttosto che dal mistero di certi ritratti di Lorenzo Lotto o Antonello da Messina per citare i più celebri, ma l’impatto può avvenire inaspettatamente con qualunque opera mi susciti quel desidero, quel bisogno di raccontarlo e restituirlo al pubblico. Poi aggiungo la mia dose di sensitività, come mi definì un grande critico di teatro Franco Quadri del quotidiano La Repubblica quando ero il messaggero nell’Edipo Re con Glauco Mauri e Roberto Sturno. Mi definisco in un certo senso un attore medianico. Non faccio ma vivo totalmente è completamente il personaggio. Vincenzo non esiste più... il che a volte mi spaventa, ma non amo fare le cose tanto per fare. Metto tutto me stesso in tutto quello che faccio. Anche in amore... mi fanno tristezza le persone che vivono con il freno a mano tirato o antepongono il proprio ego rinunciando al senso vero dell’esistenza: l’amore.

Chi sono stati i tuoi maestri che ami ricordare e che ti hanno insegnato questa splendida arte?
Come avevo già accennato prima i maestri a cui devo l’avermi insegnato “i segreti” del mestiere sono Giorgio Strehler, Glauco Mauri, Giorgio Albertazzi, Valeria Moriconi, Kristof Zanussi, Lorenzo Salveti e nel cinema Florestano Vancini, Luca Miniero, Giulio Base, Ramachandra Babu Sir il grande regista indiano con il quale sto lavorando in questo momento. Ho cercato di apprendere il più possibile anche dai grandi attori con i quali ho avuto la fortuna di condividere il set o il palcoscenico come per esempio Elena Sofia Ricci e Max Von Sidow, mio zio Tiberio in The Final Inquary regia di Giulio Base dove ero Caligola. Per non parlare di Jhon Savage, Chris Coppola, Jeames Duvall che sono pazzeschi. Sono al secondo film con loro, la divertente commedia natalizia The dog of Christmas e ogni volta mi stupisco per la loro disponibilità e umiltà cosa che alcuni miei colleghi italiani, non conosciuti in tutto il mondo come loro, dovrebbero imparare.

Chi i registi secondo te più importati, sia italiani che stranieri, con cui vorresti lavorare e perché?
In questo momento mi viene in mente Matteo Rovere perché ho visto recentemente il suo bellissimo film “Il primo re”. Un capolavoro. Sono appassionato di storia e penso che siamo ricchi di spunti per creare racconti che possano elettrizzare e incantare il pubblico. Al tempo stesso, mi divertirebbe molto affrontare la commedia e far conoscere la mia parte brillante e comica. Avete presente il pongo, quel materiale con il quale ci divertivamo da piccoli e impiastricciarci le mani? Ecco, io mi sento così: un pezzo di pongo pronto a modellarmi in qualunque forma e colore. Vorrei incontrare Guadagnino e poter fare un provino con il grande Pedro Almodovar. La lista dei registi sia italiani che stranieri è molto lunga e stanno venendo alla ribalta sempre più giovani talenti con un mondo nuovo e ricco da raccontare.

Negli ultimi anni, oltre a lavorare a tantissime produzioni, sia teatrali che cinematografiche delle quali sicuramente ci parlerai tra poco, hai presentato e condotto degli eventi molti importanti, di caratura internazionale, tra i quali il “Monte Carlo International Short Film Festival” che ha chiuso la sua seconda edizioni il 18 ottobre 2019. Vuoi raccontarci di questi tuoi progetti di promozione della settima arte e della cultura? Come in particolare è nato questo interessante progetto di Monte Carlo?
Ecco, un altro ruolo che mi diverte interpretare, quello del presentatore. Da qualche anno mi capita sempre più frequentemente di essere chiamato a condurre sia serate che programmi Tv. Per me è l’occasione per togliere qualunque maschera e creare un rapporto diretto e sincero con la gente. Mi appaga molto umanamente e dicono addirittura che mi riesca bene. Mio padre l’altro giorno quando gli ho fatto vedere il video della serata che ho condotto a Monte Carlo mi ha detto che gli ricordavo Mike Bongiorno. Il complimento più bello che mi abbia fatto negli ultimi anni. Per il secondo anno ho presentato il galà di apertura della XIX ed. della settimana della lingua italiana a Monte Carlo. Sono stati consegnati i riconoscimenti agli short movie più belli e premi alla carriera. Un evento molto prestigioso voluto dall’ambasciatore Cristiano Gallo e organizzato dalla MovieOn Pictures nella splendida sale d’or dell’hotel Fairmont. Penso che alla base di tutto ci sia la nostra lingua come prima forma d’arte da cui tutto si è generato è trasformato per arrivare poi al linguaggio cinematografico espressione moderna e contemporanea dell’arte in movimento.

Quali sono le produzioni, sia teatrali che cinematografiche, alle quali stai lavorando in questo periodo? Quelle che puoi raccontarci ovviamente.
Sono in partenza per New York dove il prossimo 25 novembre presenterò e reciterò al gran galà dedicato a Maria Callas alla Columbus University con la presenza di illustri personaggi internazionali. La serata verrà poi trasmessa su Rai Italia in tutto il mondo. È la mia prima volta per me nella Big Apple... sono molto, molto eccitato all’idea di mettere piede nella città dove tra l’altro fu girato “Fame”, Saranno Famosi, la celebre serie televisiva colpevole di avermi fatto innamorare di questo mestiere. Purtroppo dovrò rientrare subito per iniziare una nuova avventura televisiva di cui non posso ancora anticiparvi nulla. In questi giorni su Amazon Prime negli States è trasmesso il film Mission Possible regia Bret Roberts con John Savage, dove interpreto un ruolo fighissimo: il mostro Stinky ma che poi innamorandosi... sorpresa! In questo giorno in Spagna è uscito Red Land il film campione di incassi con Franco Nero, Geraldine Chaplin dove ricopro i panni di Mario Bellini. Un’opera straordinaria diretta da Maximiliano Hernando Bruno. A dicembre uscirà in India il primo capitolo del colossal in 3d “Professor Dinkan” dove sono l’ispettore di polizia Luis Danay, ruolo che mi diverte tantissimo interpretare.

«L’essenza della forma drammatica è lasciare che l’idea arrivi allo spettatore senza essere formulata con troppa nettezza. Una cosa detta in modo diretto non ha la stessa forza di ciò che le persone sono costrette a scoprire da sole.» (tratto da “Il più grande azzardo di Kubrick: Barry Lyndon”, di Marta Duffy e Richard Schickel, pubblicato su Time, 15 dicembre 1975). Cosa ne pensi di questa frase di Kubrick? Nel teatro secondo te come va innescata la forza della drammaticità di una rappresentazione?
Avrò visto 2001: odissea nello spazio una infinità di volte. Citando questo immenso regista mi si spalanca un mondo, un universo appunto. Kubrick è il mistero che si rivela. Con il suo racconto cinematografico innovativo ha radicalmente e profondamente dato vita ad un nuovo e rivoluzionario modo di fare cinema. Un po’ come quando nel teatro avvenne la rottura della quarta parete con i Giganti della montagna di Pirandello nella regia di Strehler: il pesante sipario d’acciaio che precipitando spezzava in due il carretto sul proscenio sanciva per sempre la rottura del diaframma che separa attore e spettatore. Penso che al di là di tutto sia doveroso accompagnare il pubblico lungo questo magico percorso. Per me il pubblico, l’onestà nei confronti della gente è prioritaria. Li amo e loro lo percepiscono. Con questa formula tutto il resto diventa più semplice. Anche decodificare i concetti più difficili o ermetici. E poi crederci, crederci totalmente fino al punto di incantare lo spettatore fino a fargli dimenticare il tempo, questo tempo.

«Il cinema lo chiamerei semplicemente vita. Non credo di aver mai avuto una vita al di fuori del cinema; e in qualche modo è stato, lo riconosco, una limitazione.» Bernardo Bertolucci (1941-2018). Qual è la tua posizione da addetto ai lavori, di chi il cinema lo vive come professione ma anche come passione, rispetto a quello che disse Bertolucci? Oltre ad essere un’arte, cos’è il cinema per te?
Il cinema è un qualcosa di estremamente fragile. Se consideri quanta responsabilità deve avere una pellicola che contiene una storia frutto di milioni, costosissima, il frutto di un lavoro di centinaia di persone, ore ed ore di lavoro, preparazione, montaggio distribuzione ecc. ecc. tutto su quella sottilissima pellicola! Vi lascio immaginare... tempo fa feci un sogno: per uno strano scherzo del sole si creò un campo magnetico che fece andare in tilt tutto il sistema interattivo fino al punto di smagnetizzare e cancellare tutto ciò che era impresso sulle pellicole o nel digitale. Un vero disastro insomma... questo per farci capire quanto sia meravigliosamente e magicamente fragile la settima arte, come tutte le cose belle e rare. Mi auguro che i nostri posteri abbiamo l’amore è l’attenzione di conservare il frutto prezioso del cinema come traccia di ciò che è stato e che continuerà ad essere vivo nella memoria collettiva. Comprendo la passione di Bertolucci. Quando vivi la vocazione sei rapito completamente e totalmente. Per questo è importante trovare persone che comprendano nello starci accanto questo status. Ma è molto difficile e spesso c’è il rischio di restare soli. E poi, il bello del nostro lavoro è che si incontrano molte persone. Mi ritengo fortunato nell’aver spesso avuto modo di conoscere persone speciali, generose, da cui imparare ed arricchirmi. Un grazie speciale vorrei dedicarlo al cavalier Luca Carni’ della Sud Servizi che in molte occasioni come ad esempio durante le riprese dell’ultimo film “Proiettile di libertà” mi ha messo a disposizione una splendida vettura con autista contribuendo così ad assumere più facilmente le caratteristiche del personaggio. Il cinema è una meravigliosa grande famiglia.

Nel gigantesco frontale del Teatro Massimo di Palermo, la mia città, c’è una grande scritta, voluta dall’allora potente Ministro di Grazia e Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile del Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, che recita così: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Tu cosa ne pensi di questa frase? Davvero l’arte e la bellezza servono a qualcosa in questa nostra società contemporanea tecnologica e social? E se sì, a cosa serve oggi l’arte cinematografica e del teatro secondo te?
Ho risposto a questa domanda anche un po’ prima... Queste espressioni D’arte ci ricordano continuamente quanto siamo infinitamente microscopici nel mare magnum dell’universo. Siamo continuamente in preda alla ricerca di assoluto anche attraverso il manage creativo. Penso che sia necessario un profondo senso etico nei confronti dell’arte. Ormai chiunque si sente portatore del sacro fuoco e questo crea una gran confusione. Anni fa quando iniziai a fare il teatro in sala alle prime c’erano i temuti critici teatrali. Ancora era importante e seguita la critica che poteva decretare il successo o l’insuccesso di un attore o di uno spettacolo. Dovrebbe ritornare la critica su il giornale del critico specializzato, farebbe un gran bene per aiutare le persone a distinguere la qualità dal bluff, dall’imbroglio. Un po’ come Sgarbi fa con l’arte pittorica insegnandoci a distinguere il vero dal falso! Vorrei tanto tornare a recitare nei teatri antichi in Sicilia, visto che in passato sono stato protagonista a Siracusa, Taormina, Tindari, Segesta e tanti altri... ho inaugurato lo Spasimo di Palermo nel ‘96 con Eliogabalo di Arteoud indimenticabile esperienza.

So dovessi consigliare ad un amico tre libri da leggere quali consiglieresti e perché?
Spesso vengo chiamato per dare voce alle presentazioni dei libri. È una cosa che amo molto fare... soprattutto quando poi constato che i libri vanno a ruba. Trasformare in voce ciò che lo scrittore ha pensato e meditato mi intriga molto. Recentemente ho avuto modo di leggere ad una presentazione il romanzo di Antonella Boralevi, “Chiedi alla notte”. Sarebbe adattissimo per il grande schermo, ambientato tra i lustrini del Festival di Venezia tra mistero e indagini su una attrice scomparsa. Sempre rimanendo in tema giallo consiglio “La strega spiaggiata” del bravo Niky Marcelli e l’opera di Armando Bianchini “L’apostolo di Ascoli” sulla vita di un uomo antesignano, un carismatico del ‘700 che ha precorso i tempi e di cui verrà realizzato un film.

Dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?
Un eccellente team di giovani esperti del web (Kontenty) stanno lavorando alacremente per dare vita, finalmente, al mio nuovo sito www.vincenzobocciarelli.com che verrà lanciato prossimamente. Poi ovviamente sempre sulle mie pagine Instagram e Facebook che ogni giorno si arricchiscono di nuovi amici e fans. Vorrei ringraziare soprattutto una storica fan che qualche giorno fa alla inaugurazione a Siena della mostra “Cavalli d’autore” a cui ho preso parte con il mio Equus Sum, si è fatta otto ore di treno dalla Liguria per venirmi ad incontrare e conoscere. Sono cose che ancora oggi mi riempiono il cuore. Grazie Virginia e grazie a tutti voi che da anni mi seguite con amore e fedeltà. #Staytuned... #love.

 

Vincenzo Bocciarelli

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