L’ingresso di Netflix in Cina sembra tutt’altro che facile, e per ovviare all’opposizione del Paese, il gigante dello streaming si inventa altro
Si potrebbe dire che Netflix non ce l’ha fatta: dopo una lotta condotta a suon di rilanci e di speculazioni bisbigliate sui tabloid, esce con la coda tra le gambe dalla lotta contro i locali sistemi di distribuzione streaming e soprattutto, contro il temuto SAPPRFT, l’agenzia di controllo mediatico del governo cinese. In altre parole, la Cina (insieme alla Corea del Nord, Siria e Crimea) sarà tra i pochi a non avere il suo Netflix. Almeno non a breve termine.
In particolare, è da marzo che le questioni relative alla censura si sono fatte ancora più delicate, a seguito di un deciso giro di vite imposto su tutti i contenuti stranieri, le pubblicazioni streaming e addirittura le serie tv, che parevano fino ad allora il paradiso delle piccole concessioni. Niente di più sbagliato: con un editto imper-ativo, il SAPPRFT ha sentenziato che tutto ciò che è definibile “volgare, immorale e non salutare” fosse eliminato dal video, incluso il fumo, il bere, l’adulterio, la libertà sessuale, l’omosessualità, la perversione e la reincarnazione. Lasciamo stare il fatto che poi per le città imperversino le pubblicità delle birre e delle grappe, giusto per citarne una…
La flessibilità è venuta completamente a mancare per quanto riguarda i contenuti di produzione estera e passati localmente in streaming: nella tenaglia castigatrice erano già cadute diverse serie tv americane, mentre dagli ultimi aggiornamenti neppure alla TV via satellite è concesso trasmettere questi prodotti nella fascia di prime time (o quanto meno il limite è fissato per due…all’anno!).
Altri servizi streaming prima di Netflix sono defunti: in aprile, la collaborazione di Disney con Alibaba è stata messa a tacere solo cinque mesi dopo l’inaugurazione, così come l’iTunes movie store. Anche il progetto di MUBI di trovare un accordo con Huanxi è fallito (o è stato fatto fallire).
Eppure, secondo una lettera diffusa pubblicamente da Netflix, la loro pare una scelta ponderata: “L’ambiente dei regolamenti per i contenuti digitali stranieri in Cina è diventato arduo. Adesso abbiamo in programma di autorizzare la vendita di contenuti a servizi di streaming già esistenti, piuttosto che operare in Cina a breve il nostro proprio canale… Ci aspettiamo che il ritorno da questa vendita sia modesto. Abbiamo ancora il desiderio a lungo termine di poter servire il pubblico cinese direttamente, e la speranza di potere lanciare successivamente il nostro prodotto in Cina.”
Ecco dunque, la strategia di Netflix sembra più mirata a non tentare di intaccare il già saturo mercato dell’offerta streaming della Cina, quanto piuttosto tentare un accordo con questi giganti dell’offerta online. Ora ci sarà da capire se al SAPPRFT questa cosa potrà mai andare a genio. Ma come dare torto a Netflix che, cacciato dalla porta, cerca ora di rientrare dalla finestra? La Cina è il più grande mercato di fruitori di contenuti online al mondo: ecco spiegato lo sforzo.
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Per dare l’idea delle dimensioni dell’offerta del prossimo anno dei potenziali concorrenti in loco, iQiYi creerà 10 miliardi di Yuan di nuovi contenuti, Youku Tudou investiranno in 15-20 nuove produzioni, mentre Tencent Pictures ha annunciato 20 nuovi film e progetti TV. I prezzi delle sottoscrizioni sono ancora incredibilmente bassi (troppo bassi per le abitudini di Netflix), poiché è in atto una lenta transizione dal mercato pirata che da sempre infuria in Cina a questi contenuti legali e a pagamento. E, tirando le fila, Netflix è in netto ritardo: come si diceva, il mercato è saturo, vario ed economico e i concorrenti sono molto esperti del pubblico locale, al punto da conoscerne perfettamente gusti e necessità.
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