Recensione di "Aspettando il re - A Hologram for the King"
Recensione di “ Aspettando il re - A Hologram for the King":... "beh, come sono arrivato a tutto questo?"
Interrogativi dell’uomo occidentale figlio della radicata cultura commerciale, d’affari, del business ad ogni costo, del risultato da raggiungere per rimanere sulla cresta dell’onda, delle domande dirompenti vissute nella solitudine degli alberghi a cinque stelle lusso dei cosiddetti uomini d’affari, vittime impietose della loro stesse ambizioni e del mantenimento del loro status sociale:
Per cosa sto lottando quotidianamente? Posso rinunciare a tutti i beni di comodità e di lusso che ho accumulato col mio lavoro? Posso rinunciare alla mia bellissima moglie? Posso ritrovare me stesso in un'altra parte del mondo? Posso ritrovare me stesso utilizzando le nuove tecnologie informatiche? Posso ritrovare, io spettatore, me stesso immedesimandomi empaticamente nel personaggio di Tom Hanks?
Domande che nell’incipit musical del film, ricalcano l’inquietante e bellissima canzone “Once In A Lifetime” cantata da David Byrne dei Talking Heads, che nella parte introduttiva recita così: «And you may find yourself living in a shotgun shack / And you may find yourself in another part of the world / And you may find yourself behind the wheel of a large automobile / And you may find yourself in a beautiful house, with a beautiful wife / And you may ask yourself – Well ...How did I get here?» (E potresti ritrovarti a vivere in una capanna che ti dà riparo / E potresti ritrovarti nell'altra parte del mondo / E potresti ritrovarti dietro il volante di una enorme automobile / E potresti ritrovarti in una bella casa, con una bella moglie / E potresti chiedere a te stesso: "beh, come sono arrivato a tutto questo?").
Domande che da subito lo spettare farà sue e che per tutto il film, come piccoli e instancabili tarli, cercheranno risposte nella sua mente!
La sceneggiatura non originale di Tom Tykwer è tratta dal romando di Dave Eggers, quarantenne scrittore bostoniano di successo, che nel 2012 pubblica negli Stati Uniti “A Hologram for the King”. Il romanzo nello stesso anno si piazza tra i finalisti del prestigiosissimo National Book Award, e nel 2016 Tom Hanks e Sarita Choudhury decidono di farne un film, affidando la sceneggiatura e la regia al tedesco Tykwer divenuto famoso in tutto il mondo cinematografico per la sceneggiatura e la regia della magnifica e destrutturante produzione tedesco-americana “Cloud Atlas” del 2012.
Alan Clay (Tom Hanks) deve giocare la sua ultima carta per mantenere il suo ruolo all’interno di una grande multinazionale americana quale hustler d'affari. Ha perso la moglie, la sua bella casa, la sua macchina, e non può pagare gli studi universitari alla figlia, unico e irrinunciabile vero amore della sua vita. Un’ultima chance gli viene offerta dal suo boss, vendere la futuristica applicazione di teleconferenza in ologramma al Re d’Arabia Saudita.
Qui inizia l’avventura medio-orientale del più occidentale dei personaggi impersonati da Hanks. Ed è quindi un susseguirsi di confronti e di scontri tra culture distanti tra loro, di modi di pensare e di vivere la quotidianità, di costruire nuove relazioni e nuovi amori, di veder sbocciare amicizie e sentimenti perduti … di ritrovarsi in un’altra parte del mondo?
Il nostro protagonista Hanks si porrà delle domande per intraprendere delle scelte di vita irreversibili. Quali saranno? E quali le risposte?
Oppure «Same as it ever was... Same as it ever was... » come canta David Byrne nel suo ritornello?
Tutto questo, è ovvio, lo scoprirà lo spettatore al cinema.
Voto della redazione:
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