Recensione di Babadook di Jennifer Kent: Un esordio illuminante, un horror dell'anima sul vero mostro nascosto nell'umano
Il Babadook non è il mostro sotto il letto. Non è nemmeno il mostro nell’armadio. Non è una creatura infernale che si annida nel buio della cameretta pronto a sbranare i sogni dei bambini. Non è un maniaco armato d’ascia, non è un fantasma da disinfestare né uno spirito funesto o un demone del paranormale da esorcizzare. È tutte queste cose, ma a un livello superiore; più pericoloso, più insidioso, più inesorabile. Non ci sono incantesimi e neppure medium a cui appellarsi per salvarsi dalla sua ombra.
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È un tarlo che s’inietta nella quotidianità, che ribolle nelle notti solitarie, che aleggia nei litigi con un figlio intrattabile e iperattivo, che palpita nei ricordi di traumi passati e di una morte improvvisa, che fremita nelle crisi d’ansia e d’isteria, e che, invisibile, invade ogni giorno di più il normale corso della vita reale. La quale, a causa sua, sfugge via dal controllo di Amelia (Essie Davis), madre vedova che leggendo un (orrorifico) libro pop-up sul perturbante Babadook, ne rimane suggestionata, e quella figura buia in due dimensioni prende la forma delle sue inquietudini, divenendo reale e fisica, in grado di fare – davvero – del male.
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È un esordio illuminante, quello dell’australiana Jennifer Kent: celebrato allo scorso Festival di Torino, è un horror dell'anima sul vero mostro nascosto nell'umano, incarnazione profondamente disturbante della fragilità e del tracollo mentale di una donna. Il Babadook è il volto – incorporeo, stilizzato, in stop-motion – della depressione, che tramuta la familiare figura materna in un pericolo delirante, trascinandola in una spirale di follia. Il Babadook, come tutte le ferite impossibili da cicatrizzare pure con la consapevolezza e l’autoconservazione, come tutti i terrori più ancestrali, come tutti i mali esistenziali, non potrà mai essere davvero sconfitto: ma se lo custodiremo e sorveglieremo in un luogo dell’inconscio dove rimarrà chiuso a chiave, se troveremo il coraggio – e l’amore – per guardarlo negli occhi di tanto in tanto, potremo impedirgli di imprigionarci a sua volta.
Voto della redazione:
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