Recensione di "Dunkirk"(G.B./Usa 2017), Christopher Nolan
"Dunkirk" è il film che Christopher Nolan era nato per fare
“Dunkirk” è un trionfale ed ansiogeno film di guerra che Christopher Nolan ha sviluppato per la sua intera carriera, in modi che anche lui non avrebbe mai realizzato di arrivare ad affinare, a questo livello di grandezza. Prendendo la famosa evacuazione britannica del 1940 dalla Francia, all'inizio della WWII - un momento di sconfitta e di eroismo che è diventata parte integrante della visione britannica di sé stessi come popolo, e come nazione – trasforma il tutto in un thriller di grande tensione e dal grande respiro narrativo come epico, dell’attesa di una salvezza che non si riesce a vedere, men che mai come annunciata, date quelle che sono le premesse e il contesto, all’inizio della storia. Alcuni anche tra i nolaniani potrebbero aspettarsi solamente una grandiosa epopea di guerra. Invece, Nolan offre allo spettatore molto studio della situazione ambientale e un comparto tecnico eccezionale: un montaggio intrecciato di storie e cronologie diverse, che si espandono, contraggono e si scontrano, in modi sia inevitabili che sorprendenti. E in qualche maniera, questo è fin dai tempi di “Following”(1998), anche un aspetto caratteristico dello stile nolaniano.
Nolan non ha ancora il credito che meriterebbe, per la sua opera di sperimentazione cinematografica, all’interno dell’industria. Il suo ultimo film della trilogia di Batman, “The Dark Knight Rises” (2012), ha esteso brani che si interlacciavano tra pezzi di suspense e altre parti montate di dialogo statico e introspettivo, due modalità di rappresentazione che richiedono tipi di stimolazione dell’attenzione del pubblico, completamente differenti; Che il Nolan regista avrebbe attraversato in modo così fiammeggiante il filone super-eroistico, tanto da cambiarlo e spingerlo ben oltre quelli che erano prima del suo avvento, i confini stilistici, e che proprio grazie alla sua volontà sono stati ridefiniti, per non parlare del potere che adesso esercita come produttore, è una realtà oramai assodata. Aveva addirittura tentato di fare qualcosa di forse ancora più audace nel suo film precedente, “Inception” (2010), in cui più livelli di realtà e creazione onirica, ognuno in una diversa linea cronologica, interagivano l'uno con l'altro nelle modalità più strane.
“Dunkirk” raccoglie nuovamente quelle innovazioni, migliorandole ulteriormente. Racconta la storia dell'evacuazione montando il film da tre prospettive diverse, ognuna con un suo specifico intervallo di tempo: una settimana con un soldato britannico (Fionn Whitehead) raggiunge la spiaggia di “Dunkirk”, mentre cerca di trovare una via d'uscita da questo straordinario e persistente tratto di terra assediata dall’intero esercito nazista; Un giorno passato invece sul piccolo yacht di legno Moonstone con a bordo il sig. Dawson (Mark Rylance) e due adolescenti mentre si dirigono attraverso il Canale della Manica, verso le coste della Normandia per contribuire all’evacuazione e al salvataggio delle truppe alleate; E passiamo anche circa un'ora nella cabina di guida del suo Spitfire, con il pilota della RAF Farrier (Tom Hardy, il suo volto totalmente coperto dalla mascherina dell’ossigeno del casco, ancora una volta recitando praticamente solo con gli occhi) mentre combatte contro i bombardieri tedeschi della Luftwaffe, che bersagliano le truppe e i mezzi arenatisi sulle spiagge..
Come il film rende chiaro, la spiaggia di Dunkirk era “traditrice”. Le grandi navi della flotta britannica non potevano avvicinarsi troppo a causa delle acque poco profonde; A bordo di qualsiasi imbarcazione che li mettesse in salvo, i soldati potevano avvicinarcisi soltanto attraverso uno stretto e lunghissimo molo, facendoli fare come alle anatre in fila, per gli aerei nemici e le loro bombe. Per rendere le cose peggiori, in una giornata limpida potresti praticamente vedere l'Inghilterra; Alcuni uomini si sono uccisi semplicemente camminando nell'acqua con tutto l’equipaggiamento e le armi, pensando di poter nuotare fino a lì
È il tipo di tragica ironia che a sprazzi ha sempre contraddistinto l’ispirazione nolaniana in tutto il suo cinema, i cui film sono spesso fughe costruite intorno a variazioni opposte, su di un'idea. In “The Dark Knight Rises” , la speranza è stata usata come un’arma; Nell’epico “Interstellar”(2014), l'istinto di sopravvivenza dell'umanità è arrivato molto vicino all’uccisione della sua stessa specie. Ora, in “Dunkirk” , 300’000 assiepati l’uno vicino all’altro, all’aperto degli attacchi nemici, cogliono tutta la ridondanza , nella visione che Nolan ci vuole restituire in tutta la sua potenza, di un intero mondo che è solamente ad una manciata di chilometri dalla salvezza, apparentemente con nessuna possibilità di arrivarci.
L'impianto del film potrebbe sembrare confuso, ma i titoli sullo schermo ci informano presto sulla variabilità del contesto. Ancora una volta, è un po’ spiazzante quando il personaggio di una storia si presenta in un’altra storia, -e in un punto precedente nel suo arco narrativo – la quale getta a sua volta una luce addizionale sulla sua psicologia. Nolan e il montatore Lee Smith trionfano nella costruzione di una timeline di grande tensione senza dimenticare la compassione necessaria.. Come già Nolan dimostrò di saper fare con il thriller che lo ha reso famoso, “Memento” (2000), in cui l'inversione narrativa replicava l'amnesia del protagonista, il regista ha trovato una struttura che esalta la soggettività del film. Passare sette giorni sulla spiaggia fa guadagnare la comprensione dell'agonia nell'attesa dei soldati. Trascorrere una giornata intera sulla barca riflette la sorprendente difficoltà di arrivare dall'Inghilterra a Dunkirk. L'ora nello Spitfire comunica l'urgenza del carburante che scarseggia nel serbatoio dell’aereo, e del coraggio disarmante di una manciata di piloti della RAF, i quali stanno difendendo dai cieli alcune centinaia di migliaia di soldati. E quando queste storie convergono, accadono cose inconsuete. Circa un terzo della storia percorre una parte importante della trama, ce ne rendiamo conto anche se delle singole scene sono inserite in una narrazione non lineare della stessa, immergendoci nel caos del momento. Nel frattempo, la fotografia in IMAX di Hoyte van Hoytema assicura che non usciamo mai dall’esperienza; È facile essere uno spettatore attento quando quello che è sullo schermo è così bello e impressionante.
Nolan abbraccia appieno la potenza del racconto visivo di Dunkirk. Ciò richiede una certa fiducia nello spettatore. Il regista inglese ha sempre avuto un grande occhio, ma è anche stato in passato discusso per delle flessioni nei suoi racconti drammatici, a causa di una certa sovraesposizione , e per spiegare troppo le cose. Forse ha preso in considerazione queste critiche: in “Dunkirk” la quantità di dialogo potrebbe tranquillamente essere contenuta tutta in un paio di paginette, e gran parte di questo dialogo è drammaticamente funzionale alla scena. Concentrando invece l’attenzione sui piccoli dettagli, e i gesti, per trovare la chiave nella costruzione della tensione, e fare andare avanti la trama.
Ha anche appreso il valore del suggerito: la morte di uno dei protagonisti si verifica off-screen, e la sua scoperta è straziante. In un'altra scena, quando una imbarcazione si scontra contro un molo, un solo urlo lontano suggerisce che un uomo è rimasto schiacciato tra i due. I film di Nolan sono pieni di personaggi perseguitati – finzionalmente ma anche perseguitati in modo funzionale alla storia- , in “Dunkirk” la moltitudine di personaggi vanno come a comporre un corpo unico, organico, silenzioso, come una parte del paesaggio, sia il rigido capitano della barca impersonato da Mark Rylance che il comandante Bolton di Kenneth Branagh, in piedi sovrintendendo allo sbarco di fronte alle barriere frangiflutti, e alle conseguenze critiche di quella che appare come una monumentale umiliazione militare.
Che ci porta all’aspetto più interessante di “Dunkirk” . All'inizio era un po’ discutibile che l’invisibile nemico non venisse mai citato con il suo nome; Nessuno dice la parola nazista in questo film, che può sembrare un passo falso nei nostri tempi inaspettatamente nazistoidi seppure sotto ben altre insospettabili, e mentite spoglie. Ma il film stesso è invece un testamento al valore della perdita - all'idea che la vita, l'onore e il trionfo siano comunque e sempre in attesa, sulla sponda opposta, a quella del fallimento. Quello fu naturalmente il concetto del resoconto ufficiale dei fatti pronunciato dal primo ministro Winston Churchill, e consegnato in seguito al ritiro. ( " Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sul terreno come sulle piste di atterraggio e nei cieli, combatteremo nei campi e nelle strade " ). Alla fine, “Dunkirk” suggerisce che il sapere gestire la sconfitta più esplosiva potrebbe anche essere la stessa cosa che salva la tua stessa esistenza. Dobbiamo sempre ricordare quei giorni, oggi più che mai.
Voto della redazione:
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