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Autore Alessandro Tavola :: 6 Settembre 2016
Locandina di Hacksaw Ridge

Recensione di Hacksaw Ridge di Mel Gibson con Andrew Garfield, Vince Vaughn, Sam Worthington, Hugo Weaving: assai meno controverso del solito, il regista ci regala una storia semplice quanto appagante, violenta quanto candida, elegante quanto dura

A dieci anni da Apocalypto, Mel Gibson con Hacksaw Ridge torna alla regia questa volta con uno spaccato di storia americana potenzialmente innocuo ma, a visione avvenuta, confezionato con una sensibilità (miratissima sensibilità) sopra la media.

Nel raccontare la storia di Desmond Doss, primo obiettore di coscienza a partecipare alla Seconda guerra Mondiale senza utilizzare armi ma unicamente come soccorritore, Mel Gibson riesce a portarci al di là del pregiudizio e dell’innegabile semplificazione della vicenda. Attorno all’interpretazione di Andrew Garfield, il regista australiano costruisce un mondo sì univoco e visto innumerevoli volte, ma con una confidenza e una leggerezza nei confronti di questo tipo di classicità morbide ed a tratti invidiabili.

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Il binario narrativo lungo cui si muove la prima parte del film (staccata quasi di netto dalla seconda) passa per paesaggi ed umori noti – il patriottismo e la religione la fanno da padroni – ma l’immersione totale avviene in modo sottile ma mai stantio nel punto di vista del protagonista. A partire da un contesto dalle poche e semplici regole (politiche, sociali, confessionali, morali), nel propositivo Doss di Garfield quella che all’inizio può apparire come una forzatura ed una caratterizzazione limitante e limitata lievita lentamente in un condensato di ingenuità tanto categorica da risultare inscalfibile.

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Il soldato non impugna l’arma, il soldato insiste, il soldato la spunta. Qualche flashback ci disvela i (prevedibili) precedenti che hanno determinato questa scelta. Il soldato è sul campo e non è lì per uccidere. È nel ricalcare attraverso questo sguardo le tipicità della storia americana che Gibson ci dà le regole: nella calligrafia dell’high budget e della narrazione inequivocabile e mai oscura si ritaglia e ci regala un pleasure visivo che riesce a farle emergere dalla massa di registri possibili (quelli dei nomi troppo spesso apparentemente intercambiabili, come Ron Howard). Ma è come se Mel si fosse fatto un’iniezione di Spielberg per introdurci ad un certo tipo di candore, per farci credere (o piacevolmente abboccare, per due ore) all’idea che bontà e sacrificio possano effettivamente convivere senza contrasti, per dirci che un eroe di guerra possa esistere anche così: puro, deciso, vittorioso.

E se il primo segmento lentamente ci stordisce dolcemente, tra vita di città, conflitti famigliari e gag e drammi da campo d’addestramento militare (dove spicca un Vince Vaughn quasi inedito), nella seconda Gibson diventa il violento di sempre, imponendo agli occhi infiniti scontri a fuoco tra statunitensi e giapponesi, dove la sua innegabile capacità di agitatore action coreografa un mix di esplosioni, fumi e cieli grigi, corpi maciullati e smembrati e topi quasi impeccabile, arrivando a farci credere, grazie all’ora precedente, che tutto ciò non sia solo un esercizio di stile.

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E come in un balletto, in un montaggio che quasi alleggerisce lo spatter e il caos che appaiono sullo schermo, vediamo la visione di Doss esistere sul campo di battaglia. La sua sagoma si aggira tra le macerie con le sue medicazioni e le iniezioni di morfina, con le sue funi salvifiche e una forza d’animo credibile. È questo il pregio di Hacksaw Ridge, quello di riuscire a contestualizzare una retorica nazionalista in un racconto smaccatamente cristologico, proponendoci un “buono (semi)assoluto” e di faci ammirare il suo operato al di là di ogni pregiudizio.

Senza dubbio il film ha intrinseci limiti, ma Gibson dirige consapevole di non star raccontando nulla di nuovo (politicamente, religiosamente, socialmente, cinematograficamente) e nella sua semplicità conscia, la retorica si trasforma, plasmando un protagonista la cui caratterizzazione naif riesce a farci scivolare lì con lei.

Voto della redazione: 

4

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