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Autore Alessandro Tavola :: 30 Agosto 2014
The Humbling

Recensione di The Humbling di Barry Levinson, con Al Pacino e Greta Gerwig - Fuori Concorso Venezia 71: regia addormentata e cast sotto sedativi per il trionfo della senilità

The Humbling di Barry Levinson, tratto dal romanzo di Philip Roth, presentato fuori concorso in questo Festival di Venezia non è il film che rinnoverà la carriera di Al Pacino. Anzi, forse l’affosserà ulteriormente.

Di psicanalisi e senilità si vorrebbe il film, ma Levinson e Pacino sembrano viaggiare su due binari diversi, senza mai scontrarsi. Da una parte una regia mossa, nervosa, talvolta nascosta ed altre in corsa, con immagini che hanno il piacere di sporcarsi. Uno sporcarsi che però appare datato, ormai consueto, addormentato, privo di effetti. Dall’altra un attore che, alla ricerca di un personaggio che possa essere del tutto smarrito e mentalmente lontano, finisce col non riuscire quasi a sfiorarlo.

Ognuno va per la sua strada, e la sceneggiatura sembra essere lì, abbandonata, senza che nessuno sappia impugnarla, mostrando tutte le sue carenze, senza che vengano scelti ed esplorati né la commedia né il dramma: cosa rimane quindi? Tanto blaterare e vaneggiamenti.
The Humbling difatti sembra materiale giusto per un (brutto) pilota televisivo di una serie comica che duri al massimo mezz’ora, in cui il protagonista reitera fino allo sfinimento un repertorio esiguo, sottolineando di continuo, e infine a vuoto, gli stessi tratti, le stesse battute ed idiosincrasie ed i propri limiti, che poi sono semplicemente quelli della senilità e niente di peculiare.

La memoria che sfiorisce, il rimbambimento, un’amante più giovane, il teatro: Al Pacino si ritrova con una manciata di smorfie da finto bacucco e scarti adatti ad un comprimario, non ad un protagonista assoluto. E l’aggravante è il fatto che non riesca a farne nulla: se si fosse trattato di una stand up comedy si sarebbe ritrovato coperto di insulti e pomodori marci dopo pochi minuti. Anni luce dalla verve di Jack Nicholson in una qualunque delle sue commedie a tema geriatrico, Pacino è ad un soffio dal coprirsi di ridicolo. Il suo vecchio attore che recita perpetuamente e che al contempo non sa più recitare, che scopre di non conoscersi e di non saper più riconoscere, innesca un meccanismo di caricature e controcaricature che si deteriora in un paio di scene, e presto è impossibile distinguere la miseria del protagonista Simon Axler dalle falle di Pacino. Greta Gerwig (Frances Ha) dovrebbe/potrebbe essere la Lolita e la femme fatale ex-lesbica allo stesso tempo, ma dopo un inizio d’impatto si ritrova relegata dietro frasette che spaziano dallo snob all’infantile, dal gattamortismo al tonto, rimanendo quasi invisibile sullo schermo. Le loro e tutte le altre interpretazioni appaiono come fantasmi recitativi, assenti e sedati, come se non fossero sul set ma in un centro di recupero.

La passione tra i due non viene mostrata e non si vede sui loro volti. Ogni scena sembra montata e tagliata di fretta, per far progredire la vicenda del vecchio e le sue gag da nonno Simpson senza problemi di censura. Se l’intenzione era quella di mostrare quanto possa essere d’un tratto fioca la vita, mancano un bagliore che preceda e un buio dietro l’angolo: i personaggi di Simon e Pegeen, per quanto ne parlino, sembrano non avere né un passato né un futuro.
Il regista riesce talvolta a riaccendere l’attenzione: durante i colloqui con lo psicologo via Skype e durante le allucinazioni del protagonista, ma si tratta di brevi inserti che non riescono mai a salvare tutto il resto.

The Humbling è, inoltre, sorprendentemente simile ad un altro film della Mostra, Birdman: la tematica di fondo è quasi identica, come anche un certo approccio teorico, ma la messa in pratica è a una distanza abissale e il film di Levinson si ritrova k.o. nel confronto sotto qualsiasi punto di vista. Arcaico e dalle idee mozze, stanco e all’apparenza (si spera) inconsapevole, più senile e disorientato della storia stessa che racconta.

Voto della redazione: 

1

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