Recensione di I Pinguini di Madagascar | Scatenatissimo spinoff sulle 4 canaglie Dreamworks
Recensione di I Pinguini di Madagascar di Eric Darnell e Simon J. Smith: Frenetico accumulo di sketch a valanga per lo spinoff sulle quattro canaglie Dreamworks che devono salvare la loro razza da un folle polpo
I pinguini della trilogia di Madagascar sono secondi solo ai Minion in qualità di comprimari-che-rubano-la-scena-al-protagonista, nel loro caso al leone, la zebra, l’ippopotama e la giraffa che, in questo esuberante spinoff arrivato dopo una serie tv (di ben 149 episodi), compaiono solo per un attimo, ne intravediamo giusto le ombre danzanti. Stavolta, il palcoscenico è tutto per i pinguini pasticcioni: il capo Skipper, lo svalvolato Rico, il cervelluto Kowalski e il carino & coccoloso Soldato.
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Dopo un breve prologo-prequel che, oltre a contenere una bella frecciata alla moda dei documentari sui pinguini, svela le origini del quartetto, i Nostri si lanciano in una frenetica disavventura bondiana fatta di lotta fra primedonne (quella tra Skipper e l’headmaster della task force Vento del Nord, un lupone doppiato in originale da Benedict Cumberbatch), innamoramenti interspecie, la tecnologia d’avanguardia contro l’improvvisazione più artigianale, un maligno polpo mutaforma dal triste passato che si fa le selfie di fronte al marchingegno infernale ideato per vendetta tremenda vendetta; e ancora, un orso polare dalla fame nervosa, voli acrobatici tutti a uso e consumo del buon (ma non necessario) 3D, una seconda parte in cui l’attenzione si sposta sul più ‘debole’ del gruppo (Soldato, piccolo e tenero e per questo relegato al di fuori dall’azione), intento a conquistarsi il primo piano e il rispetto dei compagni, e in conclusione un risvolto finale (il piano diabolico di Dave) che ricorda un po’ tanto da vicino quello di Cattivissimo me 2 (la macchina converti-Minion, da gialli e buoni a viola e cattivi), benché con propositi inversamente proporzionali.
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I film della Dreamworks sono tutti così, puri e semplici balocchi, che non hanno l’intenzione di intavolare alcun discorso oltre al gioco filmico coloratissimo dell’animazione, non vanno al di là della mitragliata di gag a palla, inarrestabile e indiavolata. La profondità tematica nell’animazione è da cercarsi nel lavoro pixariano o orientale (da Hayao Miyazaki a Makoto Shinkai): questo è un funzionalissimo giocattolino a orologeria per bimbi e bimbe che, scatenatissimi sulle poltrone, parteciperanno starnazzando alle disavventure, invece che restare incollati allo schienale ipnotizzati. L’adrenalina e gli sketch spumeggianti sono il mezzo e il fine di I pinguini di Madagascar: e c’è da dire che li usano alla perfezione.
Voto della redazione:
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