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Autore Alessandro Tavola :: 10 Giugno 2015
Locandina di Jurassic World

Recensione di Jurassic World di Colin Trevorrow con Chris Pratt e Bryce Dallas Howard: i rettili, ormai ammaestrati, tornano a rappresentare il passato in un film che non può e non deve stupire

Dopo quattordici anni, Jurassic World con Chris Pratt e Bryce Dallas Howard non poteva essere solamente un sequel: il tentativo di serializzare del terzo episodio e i limiti del secondo avevano già sottolineato quanto il Jurassic Park originale dovesse la propria singolarità alla forza delle immagini e non ad altro.

Come consapevole della dissipazione inesorabile della meraviglia (croce e delizia di tutto un sistema cinematografico spettacolare), il film sembra portare avanti un discorso per parallelismi in cui vecchio e nuovo, Park e World, cinema del passato ed odierno, parlano del gusto e della (in)sensibilità: se il film di Spielberg era l’eccezionale-eccezione apri strada negli Anni Novanta, JW (film, parco tematico) fotografa invece una certa idea di saturazione.

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Jurassic World non può e non deve stupire. L’attrazione ha aperto i battenti tra il terzo capitolo e questo e ci viene data quando già non bastano più i dinosauri (che, ironicamente, tornano a rappresentare il passato e non più il futuro): li si addestra e li si “arricchisce” geneticamente alla ricerca di un rinnovamento per un pubblico ormai disincantato allo stesso modo in cui lo è rispetto alle infinite possibilità delle immagini digitali. Nel 1993 era sufficiente il frame di un brontosauro in computer grafica, ma eravamo ancora in zona sperimentale: adesso qualsiasi chimera visiva (in tutti i sensi) potrebbe non bastare (o addirittura non servire) nello stesso momento in cui una virata aerea sulle masse di visitatori coinvolge più di qualsiasi rettile gigante. Una fin troppo svelta scena d’azione si svolge davanti ad un cinema IMAX e i protagonisti si ritrovano nei luoghi del primo film come fossero il fantasma di un set: il discorso metacinematografico appare lampante in tutta la sua semplicità.

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Il regista Colin Trevorrow guida il tutto cercando di non cadere in contraddizione: la vicenda fa a meno di superflue complessità e non sovraccarica le morali, con gli effetti visivi che vengono gestiti in tutta la loro ormai intrinseca “normalità”, tra situazioni già viste e di rimando (l'unico modo per sfuggire ad un predatore rimane il nascondersi dietro ad una macchina). Pratt eroe autoironico e Dallas Howard per tutto il tempo su tacchi indistruttibili e con una canottiera immacolata guidano un manipolo di comprimari (Vincent d’Onofrio, Jake Johnson) congrui, mentre il carattere family segue schemi assodati e la moltitudine di comparse viene trattata come tale senza posticce umanizzazioni.

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Certo, privato del marchio Jurassic il film non avrebbe avuto alcuna ragion d’essere. Se Spielberg stesso aveva fatto danno con l’ultimo Indiana Jones e le sue esuberanze fuori tempo massimo, con Jurassic World ci ritroviamo davanti ad un ritorno all’ordine, ad uno stop forse necessario, senza cercare innovazione dove non può esserci e senza abuso degli strumenti disponibili, con un'operazione che solo con un logo di questa portata poteva essere messa in atto. Mentre il primo Park era, con Terminator 2 ed altri, un inizio, il film di Colin Trevorrow serve solo a dipingere uno stallo: dinosauri e cinema ammaestrati, talvolta alleati, sempre (e, spesso, solamente) di pixel colorati.

Trailer di Jurassic World

Voto della redazione: 

2

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