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Autore Alessandro Tavola :: 3 Dicembre 2015
Locandina di Quel fantastico peggior anno della mia vita

Recensione di Quel fantastico peggior anno della mia vita di Alfonso Gomez-Rejon con Thomas Mann, Olivia Cooke, RJ Cyler: con un ritmo e una verve fuori norma, uno piccolo gioiello cinefilo, cinico, sincero e agrodolce sul vivere e sul (non) morire

Quel fantastico peggior anno della mia vita, vincitore conclamato al Sundance (premio del pubblico e gran premio della giuria) e presentato con successo nella sezione Festa Mobile all’edizione del Torino Film Festival appena conclusa, è probabilmente una delle creature indie statunitense dell’anno.

Al regista Alfonso Gomez-Rejon hanno probabilmente giovato gli anni passati diviso tra Glee e American Horror Story e i loro ritmi allucinati, fuori controllo e sovraccarichi di avvenimenti: Me & Earl & the Dying Girl (questo il titolo originale) gode di un ritmo fuori norma che lo pone ad un livello più alto rispetto a drammi e commedie della stessa tipologia, solitamente più vicini a confezioni contemplative, blande, indugianti o autogiustificative. Qui la velocità prende il sopravvento non perché dovuta, ma per una vera e propria espressione narrativa che non dà nulla per scontato e sa di doversi gettare in faccia al pubblico.

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È così che in Quel fantastico peggior anno della mia vita il melenso scompare per far posto all’agrodolce, il cinismo più schietto vince sulla semplice amarezza, la tristezza lascia scie di felicità e si può parlare di morte ed esorcizzarla senza sentirla addosso, senza dover fare un vanto di qualsiasi cosa possa essere deprimente per un teenager, pur avendolo sempre bene a mente, con il mal de vivre come punto di partenza e non come elemento da sfoggiare.

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Il tutto condito da una cinefilia onnipresente, quasi all’eccesso, facilmente accessibile ed insieme radicale e radicata ma mai prossima a schiacciare la vicenda, presentata in modo quasi identico, ma solo per le modalità sceniche e non per l’incidenza sul mood della pellicola, a quello di Be Kind Rewind di Michel Gondry, dove invece il feticcio tecnico schiacciava e rovinava ogni altra componente della pellicola. E se la presenza di Werner Herzog sotto molteplici spoglie è alla soglia del fanatico, basta ricordare a quale pubblico Alfonso Gomez-Rejon voglia parlare: appassionati (dopotutto sono capisaldi quelli citati in dosi massicce nella pellicola, propri di una cultura pop non bassa) in grado di riconoscere la passione ed in essa la vita e non la fuga da essa.

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Voto della redazione: 

3

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