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Autore Giulia Marras :: 21 Ottobre 2014
Locandina di Guida tascabile per la felicità

Recensione di Guida tascabile per la felicità di Rob Meyer | In concorso nella sezione Alice nella città al Festival di Roma, l'avventura di quattro ragazzi alla ricerca di un esemplare d'anatra ritenuto estinto; un indie pallido e deludente

Del panorama indie americano, quello nato al Sundance Film Festival di Robert Redford con Kevin Smith, i due Anderson Wes e Paul Thomas, Spike Jonze (solo per fare qualche nome ma la lista sarebbe lunga), pochi titoli in realtà arrivano in Italia, non lasciando presagire né quali siano le possibilità di quello che sembra essere diventato un vero e proprio genere cinematografico, né i suoi limiti, che lo circoscrivono all'ambiente underground americano e dei giovani filmmakers, i quali, almeno nelle loro opere prime, non sembrano volersi allontanare dai temi agro-dolci dell'inquietudine adolescenziale. Eppure se qualche esperimento ancora funziona, altri rimangono una pallida ripetizione degli stessi elementi estetici e meccanismi narrativi.

Guida tascabile per la felicità appartiene alla seconda categoria; al Festival di Roma nella sezione Alice nella città, il film racconta l'impresa di un ragazzo appassionato di birdwatching, eredità della madre defunta, all'inseguimento di un'anatra creduta estinta, mentre si trova in difficoltà nell'accettazione del nuovo matrimonio del padre. Le ispirazioni del regista Rob Meyer, al suo primo lungometraggio, derivano dichiaratamente dagli immaginari di Wes Anderson o Alexander Payne, nonché da pellicole quali Stand by me e Kes di Ken Loach. Lezioni assimilate, certamente però non rielaborate.

Se è suggestiva l'immersione indie nel mondo del birdwatching, accompagnata da un possibile discorso sulla visione, fotografica e quindi cinematografica, come metafora dell'utopia e del desiderio, è invece imbarazzante la trama, vista e rivista, composta dai soliti personaggi che muovono l'avventura (il protagonista/eroe sensibile, l'amico buffone, l'amico nerd asiatico, la ragazza nuova in città e il falso mentore) e costruita da una sceneggiatura, priva delle sfumature malinconiche di Anderson, o della drammaticità dello smarrimento adolescenziale di Loach.

[Leggi anche: Spazio per le donne nei film: tanto indie ma pochi blockbuster]

Nonostante qualche risata in sala, Guida tascabile per la felicità non riesce ad emozionare, neanche con i flashback smarmellati dei ricordi materni, né con una colonna sonora azzeccata, su cui per altro gli indipendenti statunitensi non possono più permettersi di sbagliare. L'indiependenza non è solo una condizione economica, è anche uno stato d'animo e generazionale; ma certo non può essere una scusa per il risultato di un film. A confronto, il simile The Kings of Summer (Sundance Film Festival 2013), naturalmente mai pervenuto in Italia, è il suo riuscito complementare.

Trailer di Guida tascabile per la felicità

Voto della redazione: 

2

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