Recensione di Quo Vado? di Gennaro Nunziante con Checco Zalone, Eleonora Giovanardi, Maurizio Nicheli: un racconto compatto dalla risata vorace e surreale, senza il peso della satira e forte di un fantasticare spietato, suggestivo, cinematografico
Con Quo Vado? l’accoppiata Checco Zalone – Gennaro Nunziante rifiorisce riallinenando tutti i pregi dell’esordio con schemi e una vicenda dall’ossatura solida, mescolando acredine e formazione, risata pura e una visione formalmente più ampia capace di non tradire l’essenzialità della maschera che già conosciamo.
Cado dalle nubi aveva l’impatto (in produzione, in fruizione) dell’opera prima, Che bella giornata appariva come un bis con non convinte variazioni, mentre Sole a catinelle non riusciva a mescolare il collaudato e il nuovo con convinzione. Adesso, con un accumulo di avvenimenti, passiamo a tutta velocità dall’Italia al Polo Nord, all’Africa senza che una battuta o una gag venga lanciata nel vuoto o in faccia allo spettatore: una treccia di ritmo stringente e senza filler in cui la comicità non perde mai di vista la coesione narrativa e dove la necessità educativa non viene semplicemente accostata al sarcasmo ma viene in esso iniettata.
Gettati nuovamente in un limbo di politica, custume e civiltà, in Quo Vado? tutti ne escono scherniti, sconfitti, ridicolizzati, mostrati in tutta la loro miseria: una commedia di sottesa isteria in cui è l’equilibrio degli avvenimenti e dei caratteri ad essere raggiunto, a vincere, senza che i personaggi debbano subire passivamente la transizione da un capo all’altro del rapporto sbagliato/giusto. È il film stesso a descrivere ed analizzare, sviscerare e poi riscrivere un’idea d’eccesso che è sempre morale (e spietata) ma mai moralista (o artefatta): la mediocrità va sempre ridicolizzata e non esiste valore assoluto.
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I personaggi dei film di Zalone appaiono scritti in modo caustico, talvolta alla soglia della crudeltà, presentando così tante sfumature di amarezza da poterli assaporare a diversi livelli. Ancora una volta il protagonista è un ricettacolo di difetti che non vengono assolti da una sovrastruttura: permangono vivi, non vengono cancellati, vengono rielaborati raggiungendo non una redenzione posticcia, ma un riassetto che li abiliti. È il principio base che il Maccio Capatonda di Italiano medio ha presentato, in altre forme, nudo e quasi crudo (e che molti altri non riescono a prendere di petto), ma che qui viene snocciolato ed orchestrato in modo trasversale e con un’abilità (recitativa, narrativa) che riesce a dare un’effettiva aura cinematografica al tutto senza sbandieramenti di universalità nazionalpopolare.
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In Quo Vado? la risata sardonica torna incessante, spietata, multilivello, focalizzata e mai accomodante. Una voracità che nuovamente ricorda la malinconia fantozziana ma senza imitarla di peso, abbracciando la varietà dei mondi possibili senza giudicarne alcuno, incapsulandoli in una storia, in un racconto che, con il distacco necessario, sa di appartenere allo schermo e non a uno specchio, mettendo da parte la malsana idea di immedesimazione della maggior parte delle commedie, distorcendo, piegando ed inacidendo il surreale in una suggestione comica capace di scardinare la semplicità dell’empatia e dell'ammiccamento, trapassando i limiti della morale e della (s)correttezza.
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Voto della redazione:
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