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Autore Fiaba Di Martino :: 6 Settembre 2014

Recensione di The Postman’s White Nights di Andrei Konchalovsky: cristallino e delicato elogio a uno stile di vita fuori tempo e a un postino angelo "dei focolari". In Concorso a Venezia 71

Un paesino sospeso in un’atmosfera e uno stile di vita agricolo quasi al di fuori del tempo e dello spazio; un postino che è il collante dei pochi, schivi abitanti; il mondo ruspante e tecnologico tenuto a distanza da un lago: sembra una favola – e un po’ lo è –, ma si tratta della realtà di tutti i giorni di un villaggetto sperduto nella Russia rurale che il regista Andrei Konchalovsky ha preso a cuore e la cui nuda quotidianità ha impresso su pellicola in questo The Postman’s White Nights, in Concorso alla 71esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Il postino Lyokha (Aleksey Tryapitsyn, che interpreta se stesso con limpida naturalezza, come d’altra parte il resto del “cast”) è una sorta di angelo “dei focolari” dei suoi conterranei: tuttofare, consigliere, occasionalmente babysitter, apre il film con una breve descrizione di sé per consunte fotografie, e poi lascia il passo a ciò che accade e di cui è spesso involontario deus ex machina, attraversando con placida compartecipazione le vicende del paesino. Di notte, riceve le silenziose visite di un enigmatico gatto grigio, che lo osserva e lo porta ad ascoltare le memorie del villaggio, dei suoi ruderi e delle sue rovine, rendendone Lyokha il portatore, custode di ricordi e tradizioni che hanno già la consistenza del passato.

Se The Postman’s White Nights, nel suo essere metà fiction improvvisata metà studiato documentario, funziona, è soprattutto grazie alla presenza scenica di Tryapitsyn e al rapporto padre-figlio che egli instaura con il piccolo Timka, figlio di una donna sola per cui il postino ha un debole. Assieme al dolce e irruente bimbetto, Lyokha esplora il fascino della natura che protegge il loro piccolo mondo, facendovi da confine (in particolare nella scena in barca a caccia della "strega": attimi cristallini), ma anche la sconosciuta realtà della fracassona città al di là del lago, ove sono entrambi fuori luogo e che ad entrambi appare estranea e intrigante, con i suoi cocktail e le sue scale mobili, osservati dai due con la medesima attenta curiosità con la quale contemplano un missile che sta per essere lanciato nello spazio, come catapultati in mezzo a una baraonda asettica dritti dritti da un'altra epoca.

È quasi commovente la premurosa, delicata empatia di Konchalovsky con questa gente semplice, con il vivere schietto e caldo della loro comunità, con la dimensione altra e quasi atemporale nella quale a scuotere le fondamenta può bastare il banale furto di un motore: e alla fine a Lyokha, a Timka, a Bombolone e ai loro frammenti di esistenza, minimale ed essenziali, non si può che voler bene.

Voto della redazione: 

3

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