Da "Opening the Nineteenth Century: 1896" ad "Anaglyph Tom", Ken Jacobs riflette sull’uso del 3-D applicato al film d’avanguardia. Uno sguardo sospeso nel cinema sperimentale post-moderno.
Era il 1990 quando Ken Jacobs, tra i più importanti cineasti d’avanguardia, decise di applicare una forma sperimentale di 3-D riadattando le prime riprese dei fratelli Lumière alla tridimensionalità. Il film si intitolava, non a caso, Opening the Nineteenth Century: 1896. L’attenzione di Jacobs verso la storia delle immagini, il suo sguardo al passato, che da sempre contraddistinguono la sua opera e la sua ricerca, volevano significare che il cinema degli esordi potesse essere percettivamente complesso e visivamente ricco, come il più ricercato dei film sperimentali contemporanei. Non a caso, Jacobs è uno dei più influenti rappresentanti della tecnica del found footage, che tanto successo riscuote ora nelle sue declinazioni più commerciali.
Opening the Nineteenth Century: 1896, che consiste esclusivamente del montaggio di scene e girato dei fratelli Lumière, si compone di due parti, suddivise a loro volta in otto sequenze. La prima parte si sviluppa in ordine inverso rispetto alla seconda. La sperimentale tecnica 3-D utilizzata da Jacobs richiedeva allo spettatore di applicare un filtro grigio-scuro sull’occhio destro durante la prima sequenza del film e di spostare tale filtro all’occhio sinistro durante la seconda sequenza. L’effetto 3-D si creava quando l’occhio ‘filtrato’ e la direzione del movimento sullo schermo corrispondevano.
Ken Jacobs ha da tempo sposato la tecnologia, l’illusione dell'immagine che riproduce tridimensionalmente la realtà, permettendo allo spettatore di immergersi in essa. Ma c’è una riflessione più acuta legata al cinema tridimensionale concepito come il cubismo della post-modernità. Una ricerca che porta il cine-occhio di Vertov a scrutare, cogliere, fissare la molteplicità dei punti di vista. Con il 3-D, ha affermato lo stesso Ken Jacobs al Torino Film Festival 2009, il cinema si riappropria delle proprie potenzialità di raffigurazione. Ma anche di coinvolgimento, di emozione.
Ciò che Ken Jacobs afferma ancora oggi e su cui continua a lavorare incessantemente - come dimostra anche la sua opera Anaglyph Tom (2009), incentrata sulla tridimensionalità e sugli effetti - è che la realtà, da sola, offre all’occhio umano una molteplicità di scorci che attendono solo la percezione della loro naturale magia. La vita di per se stessa è tridimensionale, e ciò che ci circonda è più emozionante e coinvolgente di qualsiasi installazione o elaborazione digitale. Ecco che il 3-D, considerato come tecnica espressiva più che rappresentativa, diventa immersione pura nel film, nell’immagine che muta la propria forma per assumere quella più vicina ai sensi dello spettatore.
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