Da "Luci d'inverno" a "Diario di un curato di campagna", cinque tra i personaggi in veste talare più significativi nella storia del cinema
Cattolici o protestanti, i sacerdoti attraversano la storia del cinema occidentale come presenze con le quali fare i conti, spesso concrezioni di patemi e dilemmi spirituali aggravati dalla veste talare. Una classifica dei più iconici e inobliabili arrecherà inevitabilmente dei torti: come sempre le esclusioni rodono più degli ammessi. I seguaci di Don Camillo sono avvertiti...
1. Gunnar Björnstrand in Luci d'inverno (Nattvardsgästerna, 1963)
L'anima contusa abbastanza da guadagnargli il rango di protagonista del secondo step della trilogia sul silenzio di Dio, etichetta incollata dalla stampa e rifiutata dall'autore Ingmar Bergman, il pastore luterano Tomas Ericsson, impersonato da un dolente, umanissimo Björnstrand, incarna al meglio la disperazione esistenziale dell'uomo bergmaniano oppresso dalla sofferenza inespiabile del mondo e del ministro del culto ai ferri corti con una divinità arcana e latitante. E, intanto, nel freddo villaggio che proprio Ericsson dovrebbe confortare, il male e la follia dilagano.
2. Montgomery Clift in Io confesso (I Confess, 1953)
Il cruccio più logorante per un prete cattolico, come il quebecchese Michael Logan nel thriller di Alfred Hitchcock: svelare o no un segreto ricevuto in confessione? E la confessione di un omicidio, per giunta. Se parlasse, Michael potrebbe discolparsi del delitto per cui proprio lui ha finito per essere inquisito. Ma si comporta da eroe e, sostenuto dalla prova magistrale di Clift, va al martirio giudiziario. Non è comunque un religioso senza macchia, padre Logan. Una donna, rispuntata dal passato, ha tentato la sua carne, e aumentato i suoi dilemmi.
3. Max von Sydow nell'Esorcista (The Exorcist, 1973)
Nell'horror di William Friedkin, appena decretato a furor di popolo come il migliore nella storia del cinema, uno scultoreo von Sydow contrassegna indelebilmente una delle sequenze cardine nei panni di padre Merrin, il sapiente, disincantato e austero esorcista giunto a liberare la piccola Regan dal demonio.
[Leggi anche: Video testimonianza di spettatori shockati e impauriti dopo aver visto "L'esorcita" nel '73]
4. Nanni Moretti nella Messa è finita (1985)
In una delle sue caratterizzazioni più geniali, Moretti, naturalmente anche regista, dota lo smarrito don Giulio della struggente malinconia di un pastore d'anime centrifughe, imperscrutabili e impazzite come quelle della borgata a cui è stato assegnato. Amara riflessione sull'inanità del bene e sullo sfascio della società. Moretti si “maschera” ma resta se stesso.
5. Claude Laydu nel Diario di un curato di campagna (Journal d'un curé de campagne, 1951)
Solo nella remota Ambrincourt e malato terminale, il mite curato che Robert Bresson pone al centro del suo adattamento del romanzo di Georges Bernanos, anche davanti agli interessi meschini dei fedeli o all'incombere di una morte atroce, non cessa di credere nella grazia. E commuove, in una fenomenologia del quotidiano in puro stile Bresson: scabra, disadorna, spirituale: il trascendente nel cinema, chioserebbe Paul Schrader.
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