Come si diventa produttori cinematografici? Lo chiediamo a Lara Dall'Antonia, coordinatrice di produzione free-lance specializzata in set internazionali che ha lavorato nelle produzioni di "Ocean's Twelve", "Il talento di Mr. Ripley" e "I Borgia"
Un film è il sogno di un regista incarnato da un gruppo di attori dentro un interno o un esterno. Ma perché diventi realtà è fondamentale che ci sia un produttore. Figura leggendaria che finanzia il film ma non solo: può dettarne il cast, modificarne il finale, rovinarlo o portarlo nell'empireo della settima arte. Per ogni produzione ci sono più produttori (e relativi assistenti e coordinatori) che seguono tutti gli aspetti pratici concernenti l'organizzazione e la gestione di un set, dall'alloggio per cast e troupe ai permessi di soggiorno, dai pranzi e le cene, alla programmazione delle giornate di lavoro. Se poi si tratta di un produttore italiano che lavora su un set straniero, la questione si fa ancora più interessante, come spiega a Farefilm.it Lara Dall'Antonia, coordinatrice di produzione free-lance specializzata in set internazionali.
Guardando film stranieri girati in Italia, come Il talento di Mr. Ripley ad esempio, vi siete mai chiesti: dove avranno alloggiato gli attori, il regista, il direttore della fotografia, lo scenografo, lo sceneggiatore, i truccatori e parrucchieri, i macchinisti eccetera eccetera? No? Forse però ve lo starete chiedendo ora. Ebbene, la risposta è semplice: in un appartamento, casa singola o una stanza d'albergo vicini al set, a seconda dell'ego dei personaggi coinvolti, delle loro esigenze, del loro potere di contrattazione e del budget a disposizione per il film.
Ora una domanda un poco più difficile: chi avrà trovato l'appartamento e/o casa singola e/o stanza d'albergo? In questo caso la risposta è: il produttore.
Termine altisonante che, pensando agli Stati Uniti, evoca uomini in doppio petto seduti dietro a grandi scrivanie di radica, figure professionali decisive e milionarie collocate dentro una rigida gerarchia aziendale (nel caso di major e blockbuster) o al contrario libere di sperimentare (come accade con i produttori indipendenti); e guardando all'Italia fa invece venire in mente entusiasti cinefili benestanti amanti dell'innovazione e dell'artigianalità, convinti sostenitori di registi alle prime armi (pensiamo all'improvvisato produttore Bob Tonelli che permise a Pupi Avati di girare la sua prima pellicola togliendolo dalla direzione di un reparto surgelati), oppure uomini d'affari con l'occhio lungo, una fiducia estrema nella settima arte e la passione per le attrici stupende (Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, per citarne solo un paio).
Nella realtà "produttore" è una parola-ombrello per definire coloro che, in mille modi diversi, permettono a un film di essere girato, occupandosi di tutto ciò che concerne logistica, spostamenti, tempistiche, pagamenti, vitti, alloggi e chi più ne ha più ne metta. Figura fondamentale, dunque, che permette a un sogno di diventare celluloide ed è interessante conoscere meglio (tanto è un ruolo fondamentale eppur misterioso). Cominciamo a farlo con Lara Dall'Antonia, produttrice italiana da anni specializzata nella gestione di film stranieri girati nel Belpaese (che ha lavorato per il set del succitato Il talento di Mr. Ripley).
Innanzitutto spieghiamo ai lettori di Farefilm.it come sei arrivata ad occuparti di produzione.
Ho studiato cinema in una scuola di New York, specializzandomi in organizzazione e produzione. Per qualche tempo ho lavorato facendo di tutto, dalla runner sui set ai video musicali. Per un periodo ho lavorato anche come volontaria negli uffici di sviluppo sceneggiature della Warner Bros. ...più che altro facevo la schiava! Però è stata una bella esperienza. Un'estate tornai in Italia per incontrare un produttore che stava organizzando la produzione di L'assedio di Bernardo Bertolucci, era il 1997. Era un film italiano, prodotto da italiani, ma con attori internazionali. Mi propose di lavorare per lui - stava cercando un'assistente - così ho lasciato New York e sono venuta a Roma. L'idea era di ripartire una volta concluso il lavoro, invece sono rimasta.
Come mai avevi scelto di studiare a New York?
Volevo vivere un po' all'estero e migliorare il mio inglese e poi ho sempre pensato che, se uno vuole fare una scuola di cinema, è meglio che la faccia negli Stati Uniti o in Inghilterra, anziché in Italia.
Quali sono le principali differenze tra il metodo produttivo americano e quello italiano?
Sono metodi totalmente diversi: in America il cinema è un'industria. Tutto è organizzato con precisione e molto settoriale, ciascuno ha il proprio ruolo e da quello non scappa. In Italia il cinema è percepito come un lavoro artigianale, artistico, e sul set tutti fanno un po' di tutto. Questo è un bene perché permette di avere una visione a 360 gradi del lavoro, ma d'altra parte genera molta più confusione.
Dopo L'assedio cos'è accaduto?
Ho continuato a lavorare sui set dei film stranieri che venivano in Italia. Per fare qualche titolo: Il talento di Mr. Ripley, The Golden Bowl, Ocean's Twelve, Cinqueperdue, I Borgia... Ma ho seguito davvero tanti set, potrei dire tutte le grosse produzioni americane, inglesi e anche francesi che sono venute a lavorare in Italia negli ultimi 15 anni.
In cosa consiste, entrando nel concreto, il tuo lavoro?
Come accennavo prima, in Italia lavorare in produzione è un tuttofare. E così anch'io ho svolto compiti diversi in questi anni: ho fatto l'assistente ai produttori, per esempio, e la coordinatrice di produzione, cioè la persona che sta in ufficio e coordina la logistica, gli alberghi, i viaggi, i permessi di soggiorno e di lavoro per cast e troupe. Ultimamente mi sono specializzata invece sulle accomodation per grosse produzioni: mi occupo esclusivamente degli alberghi, perché parliamo di gruppi di 400-500 persone, e non è facile trovare un alloggio adeguato per tutti.
Hai un rapporto diretto con i registi e gli attori, oppure agisci principalmente dietro le quinte?
Spesso le grandi star hanno assistenti ed è con loro che mi rapporto. Tendenzialmente mi relaziono con i produttori del Paese ospite, più che con il regista.
L'aspetto più esaltante del tuo lavoro?
A me piace molto lavorare nelle produzioni straniere, perché amo parlare altre lingue e avere a che fare con una produzione internazionale. Sei a Cinecittà e condividi gli uffici con persone che vengono da tutto il mondo. Questo mi diverte molto e poi ho anche la possibilità di visitare i set dove si gira.
E quello più difficile?
I produttori inglesi e americani sono molto esigenti, per cui se sbagli paghi. Devi essere sempre all'altezza, non sono concessi errori! In Italia, invece, il clima è più rilassato, se sbagli, pazienza.
Se dovessi dare un consiglio a chi vuole intraprendere lo stesso tipo di percorso lavorativo?
Se parliamo di seguire le produzioni internazionali è necessario sapere benissimo l'inglese. E se si sa il francese è ancora meglio. Consiglierei di studiare bene le lingue e, se si può, studiare produzione all'estero, in Inghilterra o negli Stati Uniti. Si può seguire un corso anche in Italia, ovviamente, ma resta fondamentale sapere bene l'inglese.
La caratteristica principale di un buon produttore?
Il bravo produttore è quello che sa rischiare, che punta su prodotti meno mainstream, meno "sicuri" al botteghino. Gli indipendenti americani, per esempio, mi piacciono molto. Di recente ho lavorato con Anne Carey, newyorkese, che ha prodotto The American con George Clooney. Il film è andato malissimo e lei si è presa un grosso rischio, perché ha investito capitali della sua società. In America ce ne sono tanti come lei. Anche in Italia, in realtà.
Com'è il panorama attuale?
In passato le produzioni straniere in Italia erano all'ordine del giorno. Dal 2005 al 2011 c'è stato un grossissimo calo, invece negli ultimi due anni gli stranieri stanno ritornando a sceglierci come location. La situazione si sta muovendo, insomma, e questo è un bene perché più produzioni straniere arrivano più denaro circola, favorendo il lavoro delle maestranze e lo sviluppo di altri progetti.
Qualche aneddoto curioso legato al tuo lavoro?
Tornando a The American, ricordo che eravamo in Abruzzo e io dovevo organizzare una festa di compleanno per una collega. Stavamo aspettando Clooney, ma non sapevamo quando sarebbe arrivato e ci avevano detto che sarebbero andati a prenderlo in aeroporto alcune guardie del corpo, perciò non dovevamo occuparcene. Prima di sera vado nella vineria dove ho prenotato per la festa, per assicurarmi con il padrone del locale che tutto sia a posto. Qui incontro per caso il produttore con George Clooney ed Elisabetta Canalis. Allora entro, il produttore mi presenta, George mi saluta gentilmente. Lo invito alla festa che si sarebbe tenuta di lì a poco, lui mi ringrazia, ma declina. Così festeggiamo senza di lui, ma al momento di pagare il conto il cameriere mi dice che è tutto a posto, Mr. Clooney ha già regolato per noi. È stato davvero molto generoso.
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