Recensione di 22 Jump Street | Tornano Tatum e Hill, ma il buddy movie è solo più sfrenato
Recensione di 22 Jump Street di Phil Lord e Chris Miller con Channing Tatum e Jonah Hill: Janko e Schmidt vanno al college ma il film è solo più demenziale del primo, più ostinato e libero nella struttura a sketch e col triplo dei momenti sboccati
Jonah Hill e Channing Tatum tornano nei panni e nelle divise di Schmidt e di Jenko e si ritrovano all’interno di uno degli scenari in assoluto più iconici per la commedia demenziale americana: il college, con le sue confraternite, i suoi eccessi e il suo divertimento senza contegno e senza ritegno. Rispetto al primo film, i registi Phil Lord e Christopher Miller, già registi di Piovono polpette e dell’episodio precedente, premono il pedale sull’acceleratore del ritmo e delle battute il più sapide possibile, che si rincorrono alimentando una frammentazione a mo’ di sketch televisivo: le gag sono perfino più gustose e spesso più salaci e volgari e si ride tantissimo, sia per la fisicità corpulenta e imbranata da “trentenne di terza media” di Jonah Hill che per lo studiato contrasto con Tatum, belloccio palestrato che si presta senza troppe remore a mettersi in gioco con autoironia. Se poi ci si aggiunge una storyline romantica che vede coinvolto proprio Schmidt si capisce bene che le ragioni di interesse certo non mancano e che il sequel è stato sicuramente pensato con cura, anche se ovviamente mira a replicare il successo del primo e dunque ne ripropone in modo prevedibile i meccanismi, se possibile amplificandoli su scala più grande.
Ma allora, cos’è che non funziona in 22 Jump Street? A non convincere del tutto è forse la sensazione di stare assistendo a qualcosa di inevitabile, già congegnato secondo delle coordinate perfettamente intuibili, alimentari e industriali con sprezzante cognizione di causa, e in ciò sicuramente la ridottissima distanza dal primo, sia cronologica che contenutistica, non aiuta. I due “giovani” poliziotti, le cui gesta s’ispirano ovviamente alla memorabile serie tv degli anni ’80 e ’90, sono incasellati in situazioni sicuramente godibili ma anche poco disposte a prendersi dei rischi, a sperimentare fuori da un tracciato che già si sa essere di sicuro riscontro al botteghino. La vera sperimentazione, o per meglio dire una follia creativa autenticamente anarchica, si respira ahinoi solo sui titoli di coda, dove si gioca per davvero coi protagonisti con esuberanza e assenza di protezioni troppo incatenanti, deformandoli e rendendoli ridicoli per davvero: s’immaginano possibili sequel improbabili che mai ci potranno essere, avvengono improbabili scambi di persone (occhio all’apparizione di Seth Rogen, come sempre, che in un istante si divora letteralmente il cameo di Depp del primo film), si manipolano locandine, corpi, idee. Un’assenza di ormeggi e barriere filmica ed extra-filmica in cui si ride soprattutto di se stessi e che calza a pennello, come vocazione, a quel grande ipertesto che è la commedia demenziale americana contemporanea. Una natura, la sua, fondata sulle interconnessioni di elementi e volti sempre uguali che Facciamola finita ci ha ribadito con incredibile forza anche teorica. E che invece 22 Jump Street ci ricomunica stancamente e con molta meno verve.
Voto della redazione:
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