Recensione di Joy - David O. Russell e la sua invidiabile energia che tutto sembra contaminare ed esaltare: i difetti rimangono sullo sfondo, mentre in primo piano la musa Jennifer Lawrence e il resto della gang vengono trascinati dalle vibrazioni
Prendere la storia meno stimolante del mondo (quella di Joy Mangano, inventrice del magic mop, i mocci che si stropicciano da soli) e riuscire comunque a trasformarla in un film interessante: un'impresa non da tutti, ma che David O. Russell è riuscito a compiere col suo solito fibrillante approccio a ritmo e immagini. Pare inizialmente un cinema standard, il suo, ma è questione di un attimo prima di accorgersi della differenza: le inquadrature dell'autore hanno il raro dono di vibrare con esaltante euforia, come se fossero vive e perennemente esuberanti, cariche d'invidiabile energia e trascinante forza.
Questione di veloci carrellate ed evocativi primi piani, di leggeri pianisequenza e movimenti scattanti: tutto molto semplice, ma anche calcolato al millimetro per darci ogni volta il massimo. O. Russell ci aveva già dimostrato questa sua capacità in Il lato positivo e American Hustle – L'apparenza inganna, e pure stavolta pare esser salito sul cavallo giusto, portandoci appresso a una giostra che scorre liscia e ondeggiante brio per le quasi due ore di durata. Allora, le vicende della Mangano diventano non solo l'ennesimo veicolo per raccontare sul grande schermo il sogno americano, ma anche un nuovo show cucito su misura di Jennifer Lawrence, che per il ruolo ha già ottenuto il Golden Globe come Miglior Attrice.
Lei procede nonchalante, in mimesi perfetta con la cinepresa che la segue sviscerandole gli angoli migliori, i sorrisi più luccicanti e le lacrime più nascoste. Altrove, un Robert De Niro che non perde mai occasione di buttare a soqquadro una stanza, una caricaturale Virginia Madsen attaccata alla tv, un Bradley Cooper un po' impercettibile, e un'Isabella Rossellini che pare ipnotizzare l'occhio della macchina. La squadra c'è, ed è fragorosa. Ancora merito di O. Russell, sempre lui.
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Allora, i difetti (tanti, più del solito), passano in secondo piano, si nascondono, diventano poco incisivi. Qualcosa si sarà pure perso per strada, ma è anche il prezzo da pagare per un cinema assolutamente (e insospettabilmente) libero e cristallino: noi scegliamo di stare lì con Joy mentre nevica e osserva un punto lontano, l'infanzia perduta e i sogni nel cassetto, ancora presenti, vivi vivissimi.
Voto della redazione:
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