Recensione di L'ultimo lupo di Jean-Jacques Annaud con Shaofeng Feng, Shawn Dou: nella Mongolia del 1967, un connubio fallito di avventura, epicità ed interesse antropologico che non riesce a far fruttare nemmeno i più semplici cliché
L’ultimo lupo di Jean Annaud non riesce fare a meno d’approcciarsi alla storia che racconta con un sistema di spettacolarità tanto collaudato e fermo a certe convenzioni da risultare completamente innocuo.
Rivediamo il già visto in una confezione precotta e ad incastro dal livello di difficoltà minimo. Assistiamo nuovamente all’abbinamento contrastante di confezione e tematica in cui le due si annullano a vicenda, in una piattezza di mediocre medietà. Reparto principe è quello tecnico (cgi, riprese dall’alto, azione, cenni di frenesia, condimento coprente ed abbondante delle musiche di James Horner) fermo però alla dimensione di sample, di portfolio per una compagnia di effetti speciali che si butta senza peculiarità nel mercato. Al contempo, appesantita da questa messa in scena fatta più di formalità che di formalismo, la vicenda non può fare a meno di rivelarsi erosa al minimo, una storia di riscoperta bucolica buona per qualsiasi scopo narrativo, rispetto alla quale l’eppur evidente interesse del regista non riesce a venir espresso.
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Ne L’ultimo lupo funzionano i pastori e le trappole dinamitarde sotto le carcasse delle pecore, così come la storiella d’amore, i predatori in computer grafica e talvolta i colori; ma ogni cosa limitatamente ai fatti propri, ai suoi secondi o minuti a disposizione. Dietro quegli ottoni e quelle panoramiche e dopo certi primi piani notturni animali ci si aspetterebbe spuntar fuori Ironman o chi per lui, non l’ennesimo dialoghetto scritto come per tirare avanti la carretta. Non c’è da stupirsi se la censura cinese (la Cina è coproduttrice e il film è girato ed ambientato in Mongolia durante la Rivoluzione Culturale) non sia dovuta intervenire: tutte le pulsioni sociopolitiche, anche le più fievoli e masticate dai più, soffocano nel sacco dei cliché del cinema d’avventura quanto di quello di ricerca.
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La regia di Annaud sembra in tutto e per tutto quella di un datato blockbuster, quella del realizzatore “che non dà troppi problemi” assoldato per portare a casa il movie. Il tentativo di far convivere l'epic e l'interesse culturale è qui un connubio fallito che non riesce nemmeno a stare appresso agli stereotipi più docili, e L’ultimo lupo non è in grado di dare nulla, sia che si miri al primo che al secondo.
Voto della redazione:
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