Recensione di The Sound and the Fury | James Franco è diventato un pessimo regista
Recensione di The Sound and the Fury di e con James Franco - Fuori concorso Venezia 71: continua la serie di film alla soglia dell'inguardabile del poliedrico attore e regista di Palo Alto
L’iperproduttivo James Franco torna a Venezia fuori competizione con The Sound and the Fury, da lui stesso diretto ed interpretato: ancora una volta basato su un romanzo di William Faulkner, nuovamente portando il pubblico a chiedersi cosa stia succedendo.
Capace di passare da superproduzioni hollywoodiane a film indipendenti, passando per romanzi autobiografici (da cui a loro volta vengono tratte pellicole) e lo (stra)parlare su di lui dei social network, fino alle commedie con l’amico Seth Rogen e ai documentari con siti pornografici come soggetto, pare che l’attore/regista/scrittore/star di Palo Alto riesca a fare più di chiunque altro, ma senza mai raggiungere risultati eccelsi. E forse la sua attività da filmmaker ne è la prova più lampante.
Istintivo e senza freni, attraversando tutte le discipline legate al cinema, sembra agisca nel più totale senso di libertà. Come per altri prima di lui, i blockbuster gli garantiscono la possibilità di partecipare od imbastire progetti più piccoli, personali, sentiti, in cui la voluttà realizzativa e la noncuranza per opinioni esterne sembrano essere i caratteri essenziali.
Prima As I Lay Dying e Child of God (il primo ancora da Faulkner, il secondo da Cormac McCarthy) e adesso The Sound and the Fury. Un’ideale trilogia con comuni ambientazioni, atmosfere e caratteri, personaggi reietti e devastati dall’esistenza, emarginati e tardi, dentro un mondo di violenza e selvaggio quale quello degli Stati Uniti della prima metà del Novecento. Criminali, prede, ritardati mentali, famiglie troppo grandi soverchiate da vite misere e destini infausti. Personaggi rudi quando non bestiali, spietati quando non allucinati. E la ricerca registica di Franco rincorre tutto ciò con risultati quasi insopportabili, anche ora.
Non si tratta della mancanza di un’estetica, ma di un’estetica sbranata. The Sound and the Fury è i brandelli di un film rimessi insieme a caso seguendo l’odore. Il montaggio esploso e carico di dettagli, l’accanirsi e l’accavallarsi di voci e narrazione, l’ansimare continuo di ogni scena, la velocità impercorribile con cui si susseguono gli avvenimenti. Guardandolo non si ha l’impressione di star assistendo ad una provocazione o al desiderio espresso di immagini esplicite e disturbanti. Non c’è nulla che suggerisca una chiave di lettura più alta, complessa o nascosta, tantomeno un sano ed orgoglioso autocompiacimento visivo.
Ogni cosa sembra voler anzi essere lineare, densa, febbrile, palpitante, ma il risultato è quello di un letterale macello cinematografico alla soglia dell’inguardabile, come se l’approccio di Franco si riveli troppo violento, grezzo ed alla cieca, manifestazione errata di una passione eccessiva, sbraitante e logorroica. Traballano le emozioni, dietro personaggi senza interpretazioni di rilievo, e vince il disinteresse perché tutto appare senz’anima, privo sia di tracotanza che di umiltà e, soprattutto, di voglia/capacità di raccontare.
Questo, come i sopraccitati, sembra essere un film fatto da Franco non per il pubblico, non per il cinema, ma solo per sé, da guardare come si guarda dentro la finestra dei vicini di casa quasi per errore e con un briciolo di curiosità passeggera. Perché pur provando a vedere il tutto - considerata la sua brulicante produzione - come una semplice fase artistica, non si può fare a meno di sentenziare che questo sia un pessimo film (anche se non quanto il precedente As I Lay Dying) e James Franco il suo pessimo regista.
Voto della redazione:
Altri articoli che possono interessarti
Per condividere o scaricare questo video: TV Animalista
Facebook Comments Box