Recensione di Tusk: Kevin Smith trasporta Justin Long, Haley Joel Osment e Michael Parks in una commedia horror che affonda volutamente la sua essenza nel più disturbante viscidume. Presentata al Festival di Roma 2014 nella sezione Mondo Genere
D’accordo, Kevin Smith non è mai stato un cineasta tradizionale, eppure nemmeno così anomalo come in Tusk, pellicola invasa da un mood sull’orlo della più impazzita lisergia, materiale da WTF che sulla carta poteva essere parto di una mente malata come Takashi Miike o dei nuovi estremisti francesi, non certamente del nerd la cui opera più importante nella propria filmografia è Clerks – Commessi. Qua l’autore spinge sull’acceleratore concependo un american horror story diabolicamente freak show e a suo modo spietato, nerissimo come il buio e letale come veleno.
Tusk è un film da cui non si torna indietro, di quelli che i fanatici dell’horror continueranno a citare negli anni a venire al pari di The Human Centipede et affini, opere di cui non mancano i detrattori, ma che raramente lasciano indifferenti. Difficile anche parlarne senza lanciare spoiler, ma descrivere la pellicola nella sua parte più grafica equivarrebbe a rovinare la macabra sorpresa degli spettatori di cui magari non sanno nulla del plot; basti dire che ci sono Michael Parks e Justin Long in un faccia a faccia che parte dal torture porn per virare in un delirio estremo: in mezzo, un tricheco, il bambino de Il sesto senso cresciuto e ingrassato, una gnocca e un detective accreditato come Guy Lapointe (ma osservatelo con attenzione, perché è in verità uno degli attori più famosi del mondo).
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Smith inizia dalle lezioni basilari degli anni ’80 con una messa in scena vagamente retrò e dal retrogusto amatoriale (merito anche del digitale, ovviamente); poi arriva in quei territori sempre più iperbolici e grotteschi dell’horror odierno, facendo del trash il veicolo più funzionale per imprimere una sensazione di evocativo fastidio, di ansia e schifo per l’immagine (sia mostrata che solamente immaginata). Tusk si riempie di viscido e sfrutta tutti i mezzi che ha a disposizione, dall'esplicita crudezza all’assordante sonoro: a vibrare sono le nostre vene tremanti di disgusto e morbosa attrazione, asma vomito tachicardia repulsione e pietà.
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In tutto questo, si ride anche alla grande, tra battute sul confronto Stati Uniti / Canada e rimembranze squisitamente cinematografiche, come se dei personaggi di Wes Anderson (in primis proprio Lapointe) fossero finiti in una dimensione Coen affogata nei più impensabili b-movies. Ma attenzione, perché mentre sghignazzate convinti di aver già inquadrato il film, ecco un paio di momenti in cui rischierete invece di commuovervi fino alle lacrime, giacché Tusk si rivela proprio una pellicola sfuggente e densa di direzioni, in cui perdersi nei tanti dialoghi è una noia ma dove il bello è assolutamente immenso e indelebile.
Voto della redazione:
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