Presentato alla Quinzaine des Realisateurs che si svolge, come sempre, in parallelo al Festival di Cannes, “Arabian Nights” è un film complesso e stratificato reso ancor più spiazzante dallo stile del suo regista Miguel Gomes
Strutturato in tre diversi film dalla durata complessiva di circa sei ore, Arabian Nights è l’ultima fatica dell’eclettico regista portoghese Miguel Gomes. L’opera è stata presentata nella sezione parallela della Quinzaine des Realisateurs e ha avuto un’ottima accoglienza di pubblico in sala. L’idea alla base del progetto è al contempo coraggiosa e rivoluzionaria. Durante una lavorazione lunghissima, il cineasta ha provato a ricreare in scena alcune tra le situazioni più comiche e insieme drammatiche della sua nazione: il Portogallo. La prospettiva che Gomes vuole offrire, infatti, è una visione a 360 gradi della sua patria, con tutti i pregi e le contraddizioni del caso.
Ciò che rende davvero folgorante il risultato però, è la chiave adottata dal regista. Infatti, prendendo spunto dal celebre "Le mille e una notte", Gomes conduce il pubblico nei meandri più nascosti della sua terra proponendo il tutto come se fosse una favola ricchissima e variopinta. Gli episodi che prendono forma davanti ai nostri occhi sono allo stesso tempo assurdi e reali, fantasiosi e quotidiani, magici e drammatici. Proprio qui risiede il punto di forza maggiore del lavoro, ovvero il suo lato grottesco e surreale, che spesso lascia riflettere su quanto ci sia di inventato oppure no (argomento questo molto spinoso e attuale dato le derivazioni del documentario contemporaneo). Arabian Nights si presenta dunque come un’ingente e coloratissima sfilata carnevalesca. I carri e i costumi sono innumerevoli e diversissimi tra loro e riescono a suscitare emozioni contrastanti nel cuore del pubblico.
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Il regista non scende assolutamente a patti con i suoi spettatori dichiarando sin dai primi minuti che il suo film risulterà di difficile digestione visiva e contenutistica. Effettivamente, a parte il primo capitolo che folgora completamente, gli altri due sono sempre in bilico tra una ripetizione estenuante e pedante e un lato grottesco funzionale e accattivante. Probabilmente sei ore di pellicola sono eccessive, però a proiezione finita, ripensando a tutto quanto abbiamo assistito, non possiamo che congratularci con il suo ideatore e uscire dalla sala soddisfatti e appagati.
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