Nessun applauso per "Foxcatcher" di Bennett Miller al London Film Festival, dove il regista ha presentato il film accompagnato dal protagonista Steve Carell che ha raccontato come è stato interpretare un ruolo fuori dal suo contesto comico
La prima vera delusione del London Film Festival è Foxcatcher, il nuovo film di Bennett Miller (Truman Capote - A sangue freddo, L'arte di vincere [Moneyball]) con protagonisti Channing Tatum, Steve Carell e Mark Ruffalo, presentato qualche mese fa al Festival di Cannes. Non ci sono stati applausi né ovazioni e non hanno particolarmente entusiasmato le performance degli interpreti principali nonostante il film sia basato su una storia vera dalle tinte forti. Noi abbiamo incontrato il regista e Steve Carell, per la prima volta in un ruolo fuori dal suo universo comico.
Bennett come sei venuto a conoscenza di questa storia?
Bennett Miller: Non avevo mai sentito parlare di questa storia fin quando uno sconosciuto mi ha fermato in un negozio per consegnarmi una busta contenente delle clip e degli articoli di giornale. Mi disse che sarebbe stata una storia perfetta per un film. Ho pensato a lungo a questa storia e l’ho ripresa dopo aver terminato le riprese di Moneyball.
Ma come è stata percepita questa storia in America?
B. M.: Mi ha colpito che la gente se ne sia dimenticata molto in fretta e che una storia tanto inquietante non abbia avuto risonanza nel nostro paese. Sono da sempre attratto dalle storie bizzarre che hanno come protagonisti degli outsider, persone che si trovano a far parte di un mondo a cui non appartengono.
Steve Carell: Ancora penso a questa storia. Il suo ricordo non ha abbandonato nessuno di noi. Ancora mi incontro con gli altri e ne parliamo. Abbiamo avvertito una forte responsabilità nel racconto, ci siamo immersi nella storia e l’abbiamo presa molto seriamente.
Steve, hai accettato subito questo ruolo per te così insolito?
S. C.: In realtà è stato il mio agente a propormi per il ruolo. Io ero molto entusiasta del progetto dopo aver letto la sceneggiatura. Poi ho incontrato Miller e lui mi ha confermato per il ruolo di John du Pont. Sicuramente la sua scelta mi ha sorpreso perché questo è un ruolo molto lontano dal mio mondo. Mi sono messo nelle mani di Bennett perché se lui ci credeva potevo crederci anche io. Non mi reputo un attore necessariamente comico.
B. M.: Steve è stato infatti uno degli ultimi componenti del cast ad essere scelto. Devo dire che appena l’ho conosciuto gli altri nomi che avevo in mente sono passati automaticamente in secondo piano. Credo che Steve sia un attore sottovalutato così come du Pont e che abbia un potenziale ancora inesplorato.
[Leggi anche: Foxcatcher: una storia vera per Bennett Miller]
Quanto ti sei documentato su du Pont?
S. C.: C’erano diversi filmati ai quali mi sono ispirato e ho subito capito che aveva un modo molto specifico di parlare così come molto particolare era la sua fisicità. Mi hanno colpito soprattutto i filmati che lui non voleva fossero resi pubblici. Era un uomo molto colto e aveva un’idea molto singolare di come desiderava che la gente lo percepisse.
Come hai pensato a lui?
S.C. Non ho mai pensato a lui come al male. Credo che lui fosse la personificazione del suo stato mentale e della sua frustrazione. Sono entrato in empatia con lui senza giudicarlo.
La famiglia Shultz vi è stata d’aiuto?
S. C.: Mark è stato sul set per quasi due settimane e credo che sia stato molto d’aiuto a Channing. Ho parlato molto con la famiglia di Dave ed è stato strano constatare come tutti avessero un’idea diversa di du Pont anche se poi erano tutti concordi nel sostenere che la sua presenza li innervosiva.
Come è stato indossare la protesi facciale?
S. C.: Mi ha influenzato più di quanto pensassi. Nessuno voleva più parlare con me (ride, ndr). Non avevo chance di non stare nel personaggio. La protesi era parte di me in quel momento.
Alcuni critici hanno parlato di Oscar in merito alla tua performance.
S. C.: È bello che voi lo diciate ma io non posso neanche prenderlo in considerazione!
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