Recensione di Biagio di Pasquale Scimeca con Marcello Mazzarella: Quello che Marco Müller aveva definito "il grande film rosselliniano del nostro tempo" è in realtà un'opera ambiziosa ma anche fragile e debolissima
Biagio di Pasquale Scimeca è ispirato alla vera storia di Biagio Conte, religioso palermitano dal vissuto francescano. È un film che il regista ha lottato molto per realizzare e al quale crede tanto, come provvede ad informarci in un prologo tanto sentito quanto azzardato, in cui le intenzioni spirituali e sofferte dell’opera appaiono fin da subito manifeste e sbandierate ai quattro venti.
Come se non bastasse già un inizio del genere ad elevare le ambizioni, ecco una sequenza in cui Scimeca fa dire a se stesso: “Ma noi facciamo i film per gli spettatori o per noi stessi?”: una di quelle domande capitali, vecchie come il mondo, che gravano ulteriormente e fin da subito sulle finalità dell’opera. Ciò che segue, se possibile, è anche peggio. Soprattutto considerando che Scimeca, mosso da un’impellenza che appare comunque sincera, inizia anche bene, con un ascetismo colmo di dubbi e domande irrisolte, di sospensioni e dilatazioni proprie di un cinema che qualcuno ha ricondotto, si spera con i dovuti distinguo e le obbligate proporzioni, a quello di un maestro come Ermanno Olmi.
Poi però l’architettura del film crolla rovinosamente, la performance di Mazzarella si fa enfatica, il misticismo diventa grossolano e involontariamente ridicolo, con qualche scelta perfino di cattivo gusto (e una colonna sonora totalmente inspiegabile) e delle derive di regia che lasciano decisamente il tempo che trovano. Troppe panoramiche strozzate, ad esempio, ma soprattutto un utilizzo sinceramente inspiegabile di riprese semi-documentariste che s’intervallano a quelle ufficiali creando un effetto di straniamento che vorrebbe essere fortemente espressivo e invece appare solo privo di motivazione, figlio di una vena compositiva tanto generosa e sentita quanto instabile e priva di filtri, fuori controllo e pertanto disposta a spingersi continuamente a un passo dall’abisso.
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Il film di Scimeca ha il merito di sporcarsi le mani con una materia alta, ma è innegabile che la mano del regista de Gli indesiderabili e Malavoglia, in passato ben più asciutta, rigorosa, perfino ruvida, abbia prodotto questa volta un risultato più vicino all’imbratto che alla composizione, sconfinando nell’amatorialità e nell’accumularsi pasticciato di trovate e situazioni molto poco efficaci. L’anziano che nel finale asserisce di aver voluto fare il film definitivo ma di non esserci riuscito, insieme a un’ulteriore dichiarazione finale di Scimeca che prende atto del suo fallimento, in tal senso colmano decisamente il senso della misura, semmai il film ne avesse tenuto a mente uno. E il fatto che Biagio si doni al mondo totalmente nudo e inerme, nonché privo di difese immunitarie, di sicuro non lo nobilita né lo rende migliore abbonando con un colpo di spugna tutto quanto visto fino a quel momento.
Voto della redazione:
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