Recensione di Black or White di Mike Binder con Kevin Costner e Octavia Spencer: Fiacco, stucchevole, piattissimo dramma familiar-razziale presentato al Festival di Roma 2014
Elliot/Kevin Costner è il nonno burbero, brizzolato e tanto generoso di Eloise, una bimba appena rimasta orfana di madre, morta in un incidente d’auto insieme alla moglie di Elliot stesso. Lui, dal canto suo, con la piccina non ci sa granché fare – anche legare due codini è un dramma –.
Meglio, allora, starebbe forse Eloise se venisse affidata all’esuberante nonna Rowena/Octavia Spencer, madre dello scapestrato Reggie, il giovane genitore che tra alcool, droga e piccoli furti di quartiere non ne imbrocca una né ha intenzione di occuparsi della vispissima figlioletta.
La questione finisce in tribunale, e ovviamente l’aria s’intasa di accuse di razzismo e pregiudizio, complici il brusco temperamento di Elliot e un avvocato dal fiuto furbetto.
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Il film scritto e diretto da Mike Binder (regista dei brutti Litigi d'amore e Il diario di Jack, ma anche dell'interessante Reign Over Me) ha fatto spaccare di risate e di pianti inspiegabili la platea del Festival di Roma 2014, dove è stato altrettanto inspiegabilmente presentato nella sezione Gala (ovvero il concorso più prestigioso di tale kermesse). Eppure, trattasi di un catatonico sceneggiato tv, del peggior fotoromanzo familiare e che, come poche altre pellicole, abbassa il già non elogiante termine 'buonista' a livello di dispregiativo assoluto, puntando tutto sul pedante pistolotto e cercando di equilibrare umorismo e dramma, in quella che si rivela però soltanto una miscela indigesta e paternalista, un loffio monito alla tolleranza.
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Black or White, con un sentore di antipatico e vecchio sin dal titolo, non si fa mancare nulla: dalla redenzione del rigido e imbolsito "ammerigano" in stile Clint Eastwood di Gran Torino, alla “tribù” rumorosa e festante dei parenti neri; dalla Spencer che rifà la se stessa di The Help (tosta e materna, dura però dal cuore d'oro) al mea culpa del figliol (poco) prodigo. Non manca nulla, nemmeno il quadretto riconciliante finale con freeze frame di chiusura sul volto innocente della bambina, ad incastrare i buoni sentimenti e auto-dichiararsi inattaccabile baluardo di edificante necessità. Un film brutto: decisamente, non ne avevamo bisogno.
Voto della redazione:
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