Un breve saggio visivo analizza "Le notti bianche" e "Morte a Venezia", due dei capolavori del maestro del Neorealismo
In questi anni in cui la critica cinematografica (ma non solo) sta vivendo un grande periodo di riassestamento, in cui il declino della carta stampata è andato di pari passo con una nuova ondata di scritture per il web, si sta affermando un ulteriore nuovo fenomeno che merita di essere tenuto in considerazione. Parliamo della critica che oltre alle parole sceglie le immagini, mettendo a confronto autori e film partendo proprio dal materiale visivo, quello che gli anglosassoni chiamano “video essay”, un saggio visivo.
Per questo ci piace segnalare il breve video realizzato da Pasquale Iannone in cui si analizza il lavoro di Luchino Visconti, uno dei più importanti registi del Neorealismo italiano che ha saputo anche evolvere all’interno della sua poetica personale. Il tema affrontato è quello dell’ambiguità dell’arte e dell’importanza della fotografia nelle sue pellicole, ed ecco che sovrapponendo a Le notti bianche (film del 1957 tratto da un racconto di Fëdor Dostoevskij) i dialoghi di Morte a Venezia il gioco è fatto.
Luchino Visconti è uno di quei registi che meglio ha saputo sfruttare la vicinanza tra le arti, lavorando moltissimo anche in teatro e avendo a che fare con l’opera. Un modo di fare cinema molto teatrale e allo stesso tempo un cinema che guardava ai tempi e alle convenzioni dell’arte scenica: il regista de Il Gattopardo era perfettamente a conoscenza delle contaminazioni artistiche che contraddistinguevano le sue opere. Cresciuto in un ambiente aristocratico, Visconti fin da piccolo entrò in contatto con personaggi quali Coco Chanel, Giacomo Puccini e Jean Renoir, tutti incontri che influenzarono il suo modo di mostrare il mondo.
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Nel suo undicesimo lungometraggio, Morte a Venezia, tratto dall’omonima opera di Thomas Mann, il regista non esplora solo il tema della sessualità latente, ma anche quello dell’ambiguità nell’arte in generale. Fondamentale ne Le notti bianche è stato l’apporto del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno: nei film di Visconti infatti la fotografia e il lavoro sulla luce sono come una sorta di sceneggiatura, sottotesto che racconta atmosfere interne ed esterne ai personaggi.
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