Assegnati i premi del China Film Director’s Guild Awards: diamo un’occhiata ai titoli che si sono meritati di passare alla storia
Si tratta del riconoscimento più prestigioso per il cinema cinese e si chiama China Film Director’s Guild Award: non è come un festival, è quello che si potrebbe definire una selezione di qualità, dalla quale sono emersi cinque titoli che si sono quindi distinti per il risultato cinematografico raggiunto. Per una volta, insomma, non solo soldi.
Per accedere a questa selezione, il film deve essere interamente prodotto in Cina e ovviamente, essere munito del sigillo rosso. Sono stati quindi 686 i film che hanno avuto accesso alla prima selezione, un numero incredibile in termini di mole produttiva, sebbene le dimensioni del Paese in questione facilitino.
Partiamo dai due riconoscimenti più importanti, Miglior Film e Miglior Regia, incredibilmente conquistati dallo stesso film: è Mr. Six di Guan Hu. Presentato a Venezia all’ultima edizione come film di chiusura, ha raccolto consensi dalla critica internazionale e, a seguire anche in patria. La riflessione che Guan Hu elabora sullo status quo del potere cinese in realtà va proprio in direzione delle manovre con cui Xi Jinping sta cercando di sradicare la Cina corrotta dalle file del governo. Così, la storia di Mr. Six, un ex gangster che ha molto a cuore l’onore e cercherà fino all’ultimo di rimanere coerente a se stesso nello sgominare la banda che ha preso in ostaggio il figlio, in realtà è una storia universale e universalmente apprezzata. Straordinario nel ruolo da protagonista Feng Xiaogang che, non a caso, si è portato a casa il premio come Miglior Attore Protagonista: navigato regista anche di blockbuster (tra cui Aftershock e Back to 1942), Feng Xiaogang non aveva mai ricoperto ruoli che lo portassero ad un tale riconoscimento, ribadito anche dal successo ai Golden Horse Award di Taiwan.
Avendo fatto incetta dei tre premi più prestigiosi, il secondo film per importanza si accontenta della Miglior Sceneggiatura e di un altro riconoscimento in una categoria “protetta” che farà sorridere a denti stretti: Hou Hsiao-Hsien viene premiato come Miglior Regista da Hong Kong e Taiwan, mentre il suo film The Assassin gareggia al pari di tutti gli altri cinesi e sconfigge la concorrenza. Reduce dal successo a Cannes e dalle molteplici conferme in patria, il film di Hou Hsiao-Hsien mescola le arti marziali al film in costume, in un cappa e spada all’orientale avvincente ed elegante.
La Miglior Attrice ci porta al terzo film della lista, Go away Mr. Tumor, una commedia amara dove Bai Baihe veste i panni di una fumettista, Xiong Dun, deceduta all’età di trent’anni, vittima della sua battaglia contro il cancro. La sua arte aveva preso di mira il tumore, narrativamente, con ilarità e autoironia: le sue strisce sono diventate celebri, e il film è il risultato visionario e assurdo di questa sua creazione. Il film è stato al centro delle polemiche seguite alla nomina come Miglior Film Straniero agli Oscar, dal momento che la Cina aveva in principio scelto L’ultimo Lupo di Jean Jacques Annaud prima di virare su questa commedia.
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Kaili Blues di Bi Gan vince come Miglior Regista Esordiente, dopo aver già vinto a Locarno la scorsa estate. Una produzione Heaven Pictures, una delle pochissime case di produzione cinesi che ancora appoggia la cinematografia indipendente e i registi sperimentali, non è da meno in questa scelta visionaria ambientata in una profonda Cina del Guizhou.
Chiude la cinquina Paths of the Soul, Premio della Giuria, a metà tra il documentario e la finzione, girato a seguito dei pellegrini tibetani che raggiungono Lhasa percorrendo i 1200 km che li separano dalla città sacra, in preghiera e prostrandosi, su e giù dall’asfalto. Il solo trailer lascia intuire che i ritmi del film sono ben altra cosa rispetto ai precedenti e che il lavoro del regista Zhang Yang è stato piuttosto quello di catturare l’intimità di questo viaggio sacro, attualmente minacciato nella sua purezza dall’omogeneizzazione imposta dalla Cina.
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