Dopo le minacce alla libertà espressiva e al contenimento del programma, categorie di settore e professionisti stanno prendendo posizione per difendere l’esistenza del festival più longevo della Corea del Sud
Dopo venti anni di onorato servizio, è partita una manovra di mobbing intellettuale e politico nei confronti del Busan International Film Festival che sta adesso rischiando di vedere il suo programma modificato e la sua libertà di esecuzione interdetta. La situazione si è fatta più grave a partire dall’inizio dell’anno, ma le manovre di boicottaggio sono iniziate già nel 2014.
La storia infatti ha origine da The Truth Shall Not Sink with Sewol, un documentario critico su come il Governo Coreano ha affrontato il disastro del traghetto Sewoll che ha coinvolto più di 300 persone; il documentario è stato proiettato durante il festival malgrado l’opposizione politica esercitata dall sindaco di Busan Suh Byung-soo. Come risultato immediato, le finanze del festival si sono viste dimezzare poiché l’apporto derivante dalla città per l’anno seguente, è stato revocato.
Una perdita ingente considerata l’importanza del festival, la mole di attività che lo circondano e gli indispensabili film fund da cui mezza Asia dipende.
Sebbene non apertamente pubblicizzata, la situazione nel frattempo è andata degenerando, portando al licenziamento del direttore artistico Lee Yong-kwan nel febbraio di quest’anno: una sollevazione popolare e professionale da tutta l’Asia e non solo, ne è seguita, sui social e con aperte campagne a sostegno di Lee Yong-kwan. La disputa è andata avanti e neppure le dimissioni di Lee hanno cambiato le carte in tavola: Suh, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione del festival, ha nominato 68 nuovi membri per il comitato consultivo del festival in modo da conquistare la maggioranza e il supporto. Questi elementi avrebbero infatti il potere di eleggere il nuovo direttore del festival, e quindi rimpiazzare Lee.
Il vecchio comitato ha risposto pubblicamente chiedendo il ritiro della nomina del nuovo Comitato e cercando di trovare un punto di incontro con il Busan Metropolitan Government che è da un lato il più grande sponsor del festival, e dall’altro attualmente una vera minaccia alla libertà operativa dello stesso.
La notizia più recente è che nove associazione di settore, tra cui il Korean Film Producers’ Association, il Directors’ Guild of Korea e la Korea Movie Workers’ Union, si sono riunite e hanno votato a maggioranza schiacciante il boicottaggio del festival a sei mesi dall’inizio.
“Questa è la prima volta in 10 anni che l’industria filmica coreana si è espressa all’unisono dai tempi in cui si era opposta alla politica delle quote distributive nel 2006. Questa è la dimostrazione di come la libertà d’espressione e la libertà del Busan Film Festival siano di estrema importanza per l’industria filmica coreana” si è espresso così il Comitato di Emergenza del Korean Film Group creato per la difesa del BIFF, e che include produttori, registi, sceneggiatori, direttori alla fotografia e distributori.
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Ma la situazione pare ancora in stallo, con i due poteri maggiori che a vicenda reclamano la possibilità di eleggere il direttore artistico: il Busan Metropolitan Government da una parte, e l’assemblea del festival dall’altra. La parte politica sostiene di vantare una certa proprietà intellettuale su questa longeva creatura, avendola per un ventennio finanziata copiosamente; naturalmente tutta l’industria cinematografica è contraria a questa visione, e riappropria la paternità dell’evento a chi ne fornisce le idee per la florida esistenza, ossia i filmmakers. Inoltre, il supporto economico non dà certo il diritto ad un intervento selettivo e censorio sul programma del festival: ma questa, dal punto di vista del governo, non è censura, solo una forma di innovazione alle vecchie strutture festivaliere.
Mentre la disputa è ancora in atto, si teme sempre più concretamente per la prosecuzione della 21esima edizione dell’evento, programmata per il 6 ottobre di quest’anno.
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