Dopo l’annuncio dell’acquisto da parte di Alibaba di Youku e Tudou, lo Youtube cinese, diamo un’occhiata a cosa questa manovra commerciale rappresenta realmente per la Cina
Di Alibaba e del suo imperatore Jack Ma, si è sentito parlare largamente in quest’ultimo biennio. La grande compagnia è conosciuta principalmente per il suo portale di commercio online, Taobao, che stravince su qualunque altro sito nel mercato cinese e ha un giro d’affari pari a quello di eBay e Amazon messi insieme.
Alibaba si è pure tuffata recentemente nel mercato cinematografico, sfornando prima di tutto un’azienda sorella, Alibaba Film Group, che ha iniziato siglando una serie di co-produzioni e collaborazioni a tanti zeri: tra queste, anche l’acquisto di un pezzetto di China Vision e la creazione di Wasu Media. Dopodiché, ha allargato la sua presenza acquistando poco meno del 20% dell’azienda Youku-Tudou, la corrispettiva cinese di Youtube. Non paga dello streaming video, si è inventata un astuto progetto di piattaforma crowdfunding, Yulebao: dal momento che ufficialmente il finanziamento dal basso in Cina è proibito, Yulebao ha elaborato uno stratagemma per rendere questo portale un vero e proprio prodotto finanziario.
Nel 2015, poi, Alibaba è entrata in borsa, spaventando New York per le cifre da capogiro raggiunte nei primi momenti.
La novità di novembre, è che l’azienda è passata all’acquisto completo della piattaforma Yukou-Tudou, soprattutto per l’interesse nel numero degli utenti che i due siti combinati offrono. Infatti, Youku si gioca la posizione di controllo dello streaming video assieme alla rivale iQiYi, del gruppo Baidu. In particolare, Alibaba trova un nuovo trampolino di lancio per l’e-commerce nel combinare i contenuti video alle sue offerte commerciali.
Inoltre, in prospettiva di una timido arrivo di Netflix alle porte della Cina, Alibaba ha elaborato anche un progetto concorrente usando la sua già rodata piattaforma Taobao.com e proponendo Tmall Box Office. La sfida è interessante soprattutto perché dovrebbe andare a rimpiazzare l’esteso mercato di contenuti pirata che in Cina è particolarmente vispo.
Dando un’occhiata un po’ più critica alla situazione, da una parte siamo di fronte alla possibilità che un’azienda privata, e quindi non governativa, prenda in mano una fetta gigantesca del sistema mediatico cinese. Sebbene sottoposto ai rigidi controlli della censura, comunque un distributore di contenuti privato ha molto più interesse a fornire un servizio “libero” e alternativo ai propri fruitori, che di unica funzionalità governativa. Allo stesso modo, si giustifica il parallelo investimento di Alibaba in Sina-Weibo, il portale di microblogging cinese, che è spesso oggetto di tagli e censure perché rimasto uno degli ultimi baluardi di semi-libertà espressiva.
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Per contro, tuttavia, alle spalle di Alibaba sta un sagace uomo d’affari, che è stato capace di convogliare i portafogli di tutta la Cina verso il suo conto in banca. Non esiste miglior esempio del recente successo della giornata di sconti “11.11”, dove Alibaba tramite Taobao ha fatturato quasi 6 milioni di dollari, in sole 24 ore. In un Paese democratico, forse si inizierebbe ad urlare al monopolio; in Cina, invece, in un qualche modo, Jack Ma rappresenta una speranza di alternativa. Questo non significa che smetterà di interessarsi al profitto, o che dalle sue case di produzione usciranno dei progetti indipendenti rischiosi altrimenti mai visti. Tuttavia, c’è ancora da sperare che il potere mediatico e sociale di cui gode possa voltarsi (anche) in favore dei cittadini.
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