Paola Cortellesi e Giulio Scarpati sono stati protagonisti al Taormina Film Festival di un incontro nel quale orde di ragazzini si sono scontrati pur di ottenere un selfie o un autografo
È rimasta esterrefatta Paola Cortellesi dall’entusiasmo con cui sono stati accolti al Taormina FilmFest lei e il suo collega Giulio Scarpati. “Ancora non mi capacito dell’entusiasmo della gente”. Ma se deve ricordare gli inizi della sua carriera quasi inscena un pianto, ovviamente scherzoso. “Ho cominciato a teatro tanti anni fa. A 19 anni, quando ho finito il liceo, ho studiato 3 anni in una scuola di teatro. Andavo a vedere i bravi attori e mi piaceva lavorare con chi aveva più esperienza di me per apprendere. Ho imparato anche con le tournee di sei mesi quando avevo una sola battuta. Vincevo le audizioni perché sapevo cantare e mi infilavo per fare l’attrice. Così rubavo i segreti, la disciplina e tutto ciò che c’è da sapere. Agli inizi, quando si allestiscono gli spettacoli nelle cantine, impari veramente a fare tutto. Ma la verità è che sono partita convinta di quello che volevo fin dall’inizio”. Ha iniziato ancora più giovane Giulio Scarpati che cominciò a recitare da bambino. “Era il 1968 e una compagnia di attori argentini mi coinvolse in un loro spettacolo. Poi sono entrato a far parte di una cooperativa teatrale. Lì ho imparato a cucire e perfino a simulare un ufficio stampa inesistente. All’epoca si potevano ancora trovare i numeri sull’elenco telefonico. Così invitavamo noi stessi le persone a vederci, fingendo un’autorevolezza che ancora non ci apparteneva. La cosa più faticosa non era lo spettacolo, ma montare e smontare la scenografia prima e dopo”. Il momento in cui finalmente Giulio Scarpati si è sentito realizzato? “Era il 1988 e a Milano recitai Orfani con Ennio Fantastichini, vidi i nostri nomi scritti sul teatro e mi sentii arrivato”.
Non è stato da subito che Paola Cortellesi ha scoperto la sua vena comica. “Venivo da studi teatrali classici. Non avevo idea di avere una vena umoristica però nel dietro le quinte scherzavo in continuazione con gli altri attori. Loro mi vedevano portata per un certo registro. Così un attore mi propose di fare un monologo comico in un piccolo teatro a Roma e mi vennero a vedere due autori televisivi. Da quel momento ho cominciato ad alternare teatro e televisione”. Non faceva le imitazioni della prof? “Quella della prof di italiano era per una ristretta cerchia di persone, non ero una mattatrice da ragazzina”.
C’è un sentimento che accomuna i molti attori che si sono raccontati al pubblico in questi giorni di festival: la paura di andare in scena. Un sentimento di cui ha parlato anche Giulio Scarpati: “Quella paura dipende dalla responsabilità di cui ti senti investito, ovvero quella di comunicare qualcosa di importante. Il primo passo per avere successo è quindi quello di farsela addosso, sia pure metaforicamente! Se quella paura non c’è, sul palcoscenico non avviene nulla di importante e se il pubblico lo percepisce è la fine. Poi ho visto i più grandi tremare, perfino Giulia Lazzarini”.
La potenza del cinema e l’importanza dello sguardo sono gli elementi che da subito ha compreso un giovane Scarpati. “Durante le fasi di lavorazione del mio primo film litigai furiosamente con il regista perché io ero giovane e inesperto e lui mi attaccava continuamente. Durante le riprese immaginai più volte di volerlo ammazzare (ride, n.d.r.). Quando rividi i filmati del giornaliero il mio sguardo comunicava esattamente quello che avevo provato. È stato in quel momento che ho percepito la potenza del cinema. Credo che il sorriso di De Niro alla fine di C’era una volta in America sia il massimo dell’espressività che un attore possa riuscire a raggiungere”.
L’incontro a Taormina è stato anche molto istruttivo per capire come si preparano per interpretare un personaggio due artisti di successo come loro. Per Paola Cortellesi non ci sono dubbi. “Cerco di trovare l’ispirazione nel reale. Mi piace molto studiare con diligenza. Lo ammetto, sono una secchiona”. Il metodo di Giulio Scarpati è ancora più preoccupante. “Mi segno tutto quello che faccio sul quaderno in maniera maniacale. Un giorno mi segnai addirittura tutte le volte che avevo usato la pipa e tutti i modi diversi”. Per non parlare della scaramanzia. Il rito di Paola Cortellesi non si può proprio svelare. “Prima di andare in scena con la mia compagnia recitiamo una sorta di scioglilingua fatto di parolacce di una volgarità irripetibile. Vi dico solo che il merda, merda, merda è il fiocco della confezione". Anche Giulio Scarpati ha il suo rito: “Mia madre è napoletana e io non potrei non essere scaramantico. Per questo vado raccogliendo chiodi su tutti i palcoscenici d’Italia, specialmente quelli storti che portano più fortuna”.
Su una cosa hanno entrambi le idee chiare: in Italia non esiste più il varietà di una volta. “Io adoravo Woody Allen, Steve Martin, mi sbellicavo dalle risate davanti a Una Pallottola Spuntata. Poi in Italia il trio Marchesini-Lopez-Solenghi ha fatto un lavoro ineguagliabile in televisione. Quella era una televisione bellissima. Noi nel varietà siamo stati i migliori. Oggi abbiamo una varietà di artisti veramente valida ma dovremmo sfruttarla di più”. Giulio Scarpati è dello stesso avviso. “Una volta i varietà venivano costruiti in modo molto preciso. Era tutto stabilito, anche l’ospite, chiunque egli fosse, doveva adeguarsi. Ma vi pare normale che un autore televisivo vi chieda di essere naturali? Si deve costruire, lavorare per far sì che vengano fuori delle belle cose”.
Ma tra i suoi fan c’è proprio chi non si rassegna al suo abbandono della serie Un Medico In Famiglia dove ha interpretato per ben sei stagioni il ruolo dell’amatissimo dottor Lele Martini. “È un personaggio che mi è rimasto un pochino addosso. Sono grato di quell’esperienza ma ho bisogno di fare anche altro. Capisco che alla gente dispiaccia ma se continuo, l’identificazione con il personaggio diventa totale. La verità è che Lele mette nell’angolo Giulio”.
Una delle commedie di maggiore successo delle ultime stagioni è stata Nessuno mi può giudicare, opera prima dello sceneggiatore Massimiliano Bruno con protagonista proprio Paola Cortellesi. “Massimiliano è un mio amico fraterno, abbiamo lavorato insieme nelle cantine. Quando gli hanno dato la possibilità di realizzare la sua opera prima mi ha subito chiamata. Ho detto di sì immediatamente perché mi fido ciecamente di lui. È stato uno dei set più divertenti che mi sia mai capitato anche perché Massimiliano Bruno è una delle persone più divertenti che vi possa capitare di incontrare per strada”.
Due attori realizzati che hanno ancora qualcosa da chiedere. Da Paola Cortellesi un sogno nel cassetto che non ti aspetti. “Lo dico da anni ma lo ripeto, vorrei interpretare il Riccardo III di Shakespeare, lo so che sono una donna ma a teatro tutto è possibile”. Non fatevi ingannare dall’apparenza da eterno bravo ragazzo di Giulio Scarpati. “Io desidero sempre interpretare personaggi pazzi. Lo so che non sembra avere nulla a che vedere con me ma non mi conoscete abbastanza bene per dirlo. Io con la mia follia ci lavoro da sempre”.
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