Recensione di Adieu au langage - Addio al linguaggio | Vivido, distruttivo, rigenerante JLG
Recensione di Adieu au langage - Addio al linguaggio di Jean-Luc Godard: grato ritorno dello scardinamento formale, liberazione e turbamento, capace di ridare sussulto al cinema, adesso come mezzo secolo fa
Con Adieu au langage - Addio al linguaggio Jean-Luc Godard riesce a dare una nuova scintilla ad un discorso iniziato più di cinquant'anni fa, capace di dimostrarsi immutato nell’animo, inalterato dal tempo ed insieme ancora al di sopra di ogni altra intuizione, inimitabile ed irraggiungibile.
L’onda distruttiva/rigenerante del regista torna, assieme commemorativa e rinnovante, reincarnata: Addio al linguaggio, titolo programmatico, esecuzione mista – oggi come ieri, i medesimi trucchi, rabbia e gioco, come a ricordare quanto il cinema sia (nelle viscere) sempre lo stesso, allontanato nelle sue derive decennali, ma fatto delle stesse regole – sovvertibili, esasperabili, ribaltabili, ed in questo avvolgenti, spettacolari, macroscopiche, autosufficienti.
La guerra, l’amore, la politica, la filosofia, il medium: l’io, l’io e te, il vortice alieno, quello desolato, quello tumultuante, mescolati nell’ironia, nella malinconia, nel montaggio sismico capace di radiografare e riavvolgere ogni sensazione, e di farla più libera e più turbata allo stesso tempo. Addio al linguaggio come riscoperta, come vaso di Pandora della malattia audiovisiva, più anamnesi che diagnosi, rispetto alla quale ogni discussione esplode per poter venir ammirata a pezzi, nell'affanno verso un'emozione non catalogabile.
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JLG, con una lucidità devastante, fa suo anche il 3D, impugnando lo strumento nel divertissement-scardinamento formale ed inserendolo nei suoi usuali magheggi capaci di donare cinema allo stato grezzo-meccanico ed insieme evocativo-monumentale: ogni singolo momento o stacco di Addio al linguaggio risalta come mistero e come sussulto, come ludibrio e slancio inaccontentabile, ed il fare dell’autore è ancora quello di un bambino che smonta e riassembla giocattoli guidato da moti interiori irruenti quanto semplici, innamorati quanto sarcastici, esaltando la materia e mostrandone tutta l’energia potenziale, il difetto ed insieme l’essenza.
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Perché è proprio la quintessenza nouvelle vague (o, meglio, di Godard solo) – sempre trattata dai più a circuito chiuso e con fare eccessivamente museale – che risplende e sovrasta ogni cosa, mostrando un cinema seminale, dal di dentro, e tutta la sua peculiarità/eccezionalità, con l'animo affamato della digressione continua, la mancanza di un centro, il trasporto totale puntato alla forza delle immagini e dei suoni, in cui dissoluzione e completamento pulsano all’unisono, oppure, come Godard stesso potrebbe dire: dove la completezza si dissolve e il dissolversi si completa.
Voto della redazione:
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