Recensione di Annie Parker: L'esordio di Bernstein, distribuito in Italia nel mese della prevenzione contro il cancro al seno, ha un'ottima protagonista ma è fragile e traballante, parendo quasi una versione grezza del prodotto finale
Ha perso auto, casa e quasi tutte le sue finanze Steven Bernstein per riuscire a realizzare la sua opera prima, Annie Parker, che, oggi, è capostipite della cosiddetta filmatropia, un modello di pellicole che collaborano con più organizzazioni per connettere l’industria cinematografica e le campagne di informazione e beneficienza. Annie Parker, in uscita il 30 Ottobre, nel mese dedicato alla prevenzione contro il tumore al seno – tema centrale della vicenda realmente accaduta – è distribuito da Koch Media che devolverà parte dell’incasso alla Susan G. Komen Italia, associazione per la lotta a questa forma di cancro che colpisce gran parte del mondo femminile.
Un progetto, insomma, su larga scala, un intento lodevole e umanitario che rende la singola opera di Bernstein ramificazione di un più ampio prospetto, un’iniziativa di sensibilizzazione e sostegno concreto, impegno importante e civile. Dinanzi a tutto questo l’analisi della pellicola in sé, inevitabilmente circoscritta all’efficacia cinematografica della stessa, si fa meno incisiva e quasi meno essenziale a fronte di tale programma di divulgazione e supporto. Perciò dispiace che, andando al sodo, Annie Parker si riveli titolo davvero debole e maldestro. Il film di Bernstein ha un andamento incerto fin dall’inizio, con tre prologhi (l’incontro prefinale, l’oggi, l’infanzia), e poi finalmente l’avvio della storia, che vede in parallelo gli studi medici della dottoressa King, volti a dimostrare che in determinati casi di tumore al seno vi è un legame genetico, e il caso appunto della famiglia di Annie Parker, che perde in un colpo madre, cugina e sorella prima di ammalarsi lei stessa e, sospettando una trasmissione familiare del male, intraprende un’ostinata ricerca a riguardo.
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Se fa sempre piacere vedere in primo piano un’interprete intensa e sottovalutata come Samantha Morton (la Hunt, qui, è più monocorde), non si può che restare perplessi di fronte alla scelta di Aaron Paul come suo compagno per un decennio: la coppia è improbabile e la differenza d’età troppo lampante, anche perché lui, conciato come una rockstar darkettona, mentre il tempo passa sembra addirittura ringiovanire.
Se il casting è sbagliato, il problema sta, oltre che in una regia distante e mai palpitante, soprattutto in uno script che pare procedere per abbozzi: ripetute ellissi che fanno sembrare il film in parte un trailer mal montato (i tagli sono bruschi e/o raffazzonati), in parte una versione non finita e ancora da limare, pieno com’è di buchi e sciatte incongruenze. Insomma, è davvero difficile difendere Annie Parker, tanto è sbilenco e traballante. E dispiace davvero, perché le intenzioni sono ammirevoli e la storia di queste donne così diverse, ma al contempo così ugualmente coraggiose, avrebbe meritato una trasposizione decisamente più viva, solida e riuscita.
Voto della redazione:
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