Recensione di La quinta onda di J Blakeson con Chloë Grace Moretz e Liev Schreiber: un cast inesistente in una vicenda sci-fi post apocalittica teen sfibrata e arida nonostante presupposti strutturali semi-rassicuranti e schemi già consolidati
Tratto dal primo omonimo capitolo della trilogia scritta da Rick Yancey, La quinta onda è scritto da Susannah Grant (Erin Brockovich - Forte come la verità, Il solista) e diretto da J Blakeson: Chloë Grace Moretz e Liev Schreiber guidano il cast di questa malcapitata e sonnolenta operazione commerciale.
La quinta onda prova ad accodarsi ad Hunger Games e Maze Runner, ma non riesce a mescolare gli elementi in modo da costituirne un’attrattiva valida. Non possedendo né l’ingente produzione del primo (e si risente di ciò in ogni singola inquadratura) né i toni netti e ben calibrati del secondo, il suo inserirsi nel filone è fallimentare e, tra già-visto e rotative cigolanti, impacciate e rallentanti, il suo retrogusto è quello di un minestrone insipido e mal cotto, di pezzi listati in modo cieco e quasi sprezzante, raffazzonato.
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Adolescenti, fantascienza, gioventù strappate, umanità cancellate, eroi ed eroine come se bastasse: ma Chloë Moretz (ormai in fase di smarrimento, persi i ruoli da enfant prodige) è opaca e il suo personaggio inesistente, priva di carisma e della scorza da condottiera necessaria, contornata da comprimari abbozzati (dagli infanti, ai giovani, agli adulti) e situazioni esili. Messa da parte una buona idea/twist (dal potenziale cristallino, ipoteticamente incantevole), è l’atmosfera che arranca piena di bolle, con una regia sbrigativa e poco capace, incapace di valorizzare gli istanti interpersonali (che dovrebbero essere essenziali) come quelli prettamente action, con uno script che avanza solo grazie a buchi e facilonerie capaci di saltare ogni passaggio di logica per voltare pagina verso l’atto successivo.
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Una regia e una scrittura automatizzate e frettolose, carenti anche davanti alla più fotocopiata serie teen, fanno sembrare ogni singolo momento infine superfluo, anche quello più cardinale. A La quinta onda mancano la capacità di coinvolgere, un’idea che ne determini il sapore, un focus che lo caratterizzi, una struttura che lo renda palpabile; tra cliché postatomici e accomodamenti giovanilistici trattati in modo del tutto approssimativo.
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Delle infatuazioni, della decadenza, della lotta non rimane granché, quando anche con le più universali meccaniche il noto viene privato della sua semplicità e delle sue possibilità rassicuranti, mentre il nuovo avanza come un orpello ozioso invece che come identità. Un film di fantascienza cheap, privo di mordente (anche quello più estemporaneo), nelle retrovie di un’exploitation che non ha ancora avuto titoli realmente memorabili.
Voto della redazione:
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