Recensione di Mission: Impossible - Rogue Nation | Pallido ritorno per Ethan Hunt
Recensione di Mission: Impossible - Rogue Nation di Christopher McQuarrie con Tom Cruise, Simon Pegg, Rebecca Ferguson: un ritorno misuratissimo e controllato per la saga, privo di esagerazioni inutili ma anche incapace di stupire
A quattro anni dall’ultimo capitolo, Tom Cruise torna nei panni di Ethan Hunt in Mission: Impossible - Rogue Nation: un nuovo appuntamento che scorre via liscio, tra il ricordo dei primi, il cinema di oggi e l'auspicio per domani.
Le impronte di Brian De Palma (il primo Mission: Impossible del 1996) e John Woo (2000) sono lontane, ma non del tutto cancellate. Il rinnovo di J.J. Abrams (2006) ha giovato e rinfrescato, Brad Bird nel 2011 ha dato la sterzata farsesca. Oggi, con Christopher McQuarrie (che ha già diretto Cruise in Jack Reacher e ha scritto l’ottimo Edge of Tomorrow di Doug Liman), la saga sembra fronteggiare un preciso limite (del cinema americano) in modo del tutto conscio: non può spaccare la macchina da dentro, ma ne butta via tutti i pezzi indesiderati. Il risultato è un film equilibrato e posato, fedele a determinati capisaldi, visivamente poco aggressivo e mai sgangherato, che decide di non abbracciare l’etica verbosa dei film di spionaggio, tenendo come riferimento sbiadito i James Bond (vecchi e nuovi) e guardando, giocoforza, ai cinecomic che dominano il mercato.
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McQuarrie, da buon sceneggiatore veterano (suoi I soliti sospetti e Operazione Valchiria), non soprassiede mai e non perdiamo il focus della singola scena, ma al contempo non ce n’è una che risalti e non si arriva a un momento clou. L’incipit, il confronto a teatro, l’immersione, l’inseguimento in Marocco, determinati corpo a corpo, spieghini e spiegoni: tutti ben realizzati, valorizzati ed innestati nella vicenda senza che nessuno svetti. Tutto è misurato in maniera tale da non sbalordire, ma da trascinare attraverso il film, alla cui fine si arriva incolumi. Nessun fracasso gratis, quindi, e sarebbe un vanto, se il regista sapesse dosare d’eleganza i suoi momenti d’azione, che rimangono al più ben vestiti.
Secondo i dettami del compostaggio action-blockbuster più recente ed ampliando alcune caratteristiche del quarto film, Rogue Nation, sposta l’attenzione sul gruppo: Ethan Hunt diventa del tutto uno della squadra, accanto ad un ben più indelebile Simon Pegg, Ving Rhames e un Jeremy Renner presenzialista-funzionale come al solito. La sensazione di pericolo viene meno, così come l’addensarsi action, entrambi surclassati dal team e dal suo “risate & tecnologia”, dal suo scorrere quieto e ridanciano sulla dorsale degli accadimenti.
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Personaggi, trama e azione sono quindi tenuti tutti sotto controllo senza che si superi un determinato livello di guardia e alla fine di rogue in Rogue Nation c'è poco. La regia non è in grado di trasformare il materiale di partenza e si limita a tenerlo in ordine, il che di questi tempi non è poco, e nonostante pallore e carenze, il franchise guidato da Tom Cruise riesce a mantenersi su un livello leggermente più alto rispetto a film a lui contemporanei: uno strato di appeal permane sopra questo capitolo, capace ancora di mantenere viva una vecchia infatuazione e di non apparire come un semplice «soldi trasformati in pixel colorati» ma tuttavia superfluo o, per meglio dire, di transitorio (verso cosa non si sa).
Voto della redazione:
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