Recensione di Sils Maria di Olivier Assayas con Kristen Stewart, Juliette Binoche, Chloë Grace Moretz: con la Svizzera per disperdersi e ritrovarsi, un romanticismo trasversale eleva quello che altrove sarebbe stato solo un film sulla mezz'età
Juliette Binoche e Kristen Stewart come duo dinamico dell’interiorità: questa è la scoperta più piacevole di Sils Maria di Olivier Assayas.
L’autore abbandona i toni approssimativi e didascalici di Qualcosa nell’aria per donarsi completamente ad un tempo circolare, sospeso ed inafferrabile, da osservare e guardare evaporare: con la Svizzera come luogo principe in cui poter astenersi e farsi avvolgere, a perdita d’occhio nel torpore della compresenza delle cose. La morte e il futuro come il passato e il continuare ad esistere, combacianti e sovrapposti, assieme intimi e globali.
Azzeccando le coordinate del presente più di molti altri (nonostante i presupposti anagrafici), il regista riesce ad evitare ogni trasandatezza e a non calcare sulla nostalgia, donando a Sils Maria una continua sensazione propositiva e mai fatalista dove ogni rimpianto o rimorso non viene condannato o estremizzato, ma usato come benzina per bruciare verso l’istante successivo. Un albergo o un lago, un tablet o un film in 3D, un’escursione senza meta o l’ammasso di nebbia galleggiante del Serpente di Maloja: un romanticismo trasversale eleva quello che altrove sarebbe stato solo un film sulla crisi di mezz’età.
Tra sigarette e prove per uno spettacolo i dialoghi si mescolano, si diramano, vagando (e mai vagheggiando) per un disperdersi/ritrovarsi di cui non sarebbe necessaria la conclusione.
Juliette Binoche brilla di desiderio e di non detti assieme a una Kirsten Stewart assistente 2.0 occhialuta e continua fonte di stimolo fantasmagorico-interiore. Come coppia si fondono, si completano: la femminilità e il lavoro, l’ironia e la malinconia, tra play-in-play e tendenziali mise en abyme si danno ad un continuo fermento trasognato e fin quando v’è la compresenza delle due il film scorre con inusuale trascinante leggerezza, come appeso ad invisibili puntini di sospensione.
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Ma il piacere dello stallo meditabondo termina troppo presto e ci si ritrova con un quella che sarebbe stata conclusione ideale posta mezz’ora prima del finale, seguita da un epilogo di ritorno alla realtà che quasi vanifica o accantona ciò che lo precede, con uno smorzamento che appare senza dubbio spiacevole, se non addirittura molesto.
Voto della redazione:
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