Recensione di Spira Mirabilis | Dare forma all'immortalità
Recensione di Spira Mirabilis | Preziose luci del panorama documentaristico italiano
«Essere immortale è cosa da poco:
tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte;
la cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali.»
Preziose luci del panorama documentaristico italiano, D'Anolfi e Parenti rappresentano una felice anomalia anche all'interno del Concorso di Venezia con la presenza inaspettata del loro Spira Mirabilis, dopo i piccoli miracoli di Materia Oscura, Il castello e L'infinita fabbrica del Duomo. Oggetto filmico all'inizio enigmatico, all'apparenza inesplorabile, Spira Mirabilis necessita di tempo per tesserne le fila ed essere abbracciato, oltre che di uno sguardo paziente, immersivo e accogliente. Ma alla fine la visione paziente viene colmata e ricompensata come in poche altre esperienze cinematografiche (almeno qui al Lido): ogni segmento torna al suo posto e il quadro ricomposto per essere visibile nel suo insieme.
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Diviso e montato alternativamente in quattro diverse parti, rispettivamente quattro temi e quattro città diversi, le redini sono tenute insieme da un discorso superiore sull'immortalità grazie alle parole de L’Immortale di Jorge Luis Borges, recitate dall'attrice Marina Vlady sullo scorrere di fotogrammi in bianco e nero di un vecchio proiettore. Le quattro città che "su una cartina geografica immaginaria compongono il disegno della nostra spirale meravigliosa", la spirale logaritmica che si avvolge su se stessa senza mai raggiungere il polo, come raccontano i due registi, illustrano quattro storie dagli elementi della natura (acqua, fuoco, terra ed aria): quattro moti di ricerca, di passione artigianale, di creazione.
Il cinema di D'Anolfi e Parenti è un prendere forma da punti di vista fisici e teorici finora inediti: ecco allora che lo studio di uno scienzato-cantante giapponese sulla medusa Turritopsis, unico essere vivente in grado di rinascere all'infinito (l'acqua), incontra la lavorazione esclusiva dei tamburi d'acciaio, strumenti musicali dai suoni quasi magici prodotti da un piccolo studio svizzero (l'aria); e ancora, la storia dei massacri degli Indiani d'America si intreccia con l' "infinita" costruzione del Duomo di Milano e delle sue statue lavorate da generazioni di marmisti. Intervallate da filmati in Super8, le sequenze compongono una "sinfonia visiva", un poema di intuizioni perseguite fino al lirismo, nell'incantesimo di forme, suoni e materiali che all'occhio disattento possono apparire quasi extra-terrestri: le immagini al microscopio delle piccole meduse "immortali" costituiscono il fascino forse più forte e ipnotico di Spira Mirabilis insieme alla tenerezza del loro "protettore" biologo.
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In maniera comunque minore ai lavori precedenti, Spira Mirabilis combatte con l'ambizione maggiore di coprire l'ampio mistero umano della mortalità umana, della fragilità dei corpi di fronte alla resistenza degli elementi naturali e soprattutto delle immagini e delle parole. Coraggiosa scelta per un concorso fino ad ora eclettico ma spavaldo: il Premio per la poesia è già suo; di quelli veri, difficilmente riuscirà a prenderne, purtroppo.
Voto della redazione:
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