Recensione di Un milione di modi per morire nel West | Divertissement politicamente scorretto
Recensione di Un milione di modi per morire nel West: Seth MacFarlane, Charlize Theron, Liam Neeson e Amanda Seyfried in una raffica continua di battute zozze e sconce. Regia al grado elementare, ma alcuni momenti sono spassosi
Ce l'ha dimostrato anche alla cerimonia degli Oscar del 2013: Seth MacFarlane è una logorroica bomba di battute scorrette, tra sboccatissime volgarità, gag razziali, demenzialità e quant'altro, il tutto frullato in un miscuglio che certe volte fa inarcare le sopracciglia, e altre ancora fa invece sbragare dalle risate. In generale ci piace, in quanto porta avanti un discorso americano sulla comicità che vede proprio nei Griffin, creatura più celebre di MacFarlane, una delle sue massime vette. E gli attori, in Un milione di modi per morire nel West, sembrano proprio i primi a divertirsi allo sfinimento, da Liam Neeson ad Amanda Seyfried, passando per Giovanni Ribisi e Neil Patrick Harris, senza ovviamente dimenticare l'inedita Charlize Theron, visivamente a suo agio in mezzo a questo mondo triviale. Se la godono, lo vediamo in più scene a iniziare dal balletto corale, vero momento musical tra coreografie e canzoni: al cast il merito di aver dato alla pellicola un senso di rilassata scorrevolezza nonchalante, come se fare battute sulla sodomia e lo sperma fosse la medesima cosa che parlare di rose e fiori.
Stavolta, MacFarlane amplifica addirittura le sue ambizioni, passando dalla contemporaneità di Ted alla dimensione mitica del western, genere collaudato per eccellenza. Tuttavia, è proprio nel contesto dell'ambientazione e nella storia (del cinema) che il comico mostra i suoi limiti registici: se il lavoro precedente era praticamente un film tutto incentrato sull'orsacchiotto volgare, qui è un intero mito che esige di essere messo in scena (e sfatato); allora, il confine tra un bravo regista e Seth MacFarlane si svela nel modo in cui viene gestito lo spazio in questo universo cinematografico: errore del celebre comico è di riprendere le scene come se stesse ancora inquadrando Ted, mancando dunque tutte le suggestioni di un possibile epic fatto di evocazioni, campi lunghi e dettagli. Non stiamo dicendo che ogni singola pellicola che si ambienti nel west debba per forza citare Sergio Leone, ma che sia comunque un'arma in più per l'autore e il meltin' pot; un genio come Stephen Chow, ad esempio, ce ne ha dato un assaggio nell'immenso Kung Fu Hustle, mentre MacFarlane si limita alla sua fattezza parodistica e mai omaggiante, dove il West (e tutto ciò che significa) rimane mero sfondo piatto e scenografia di contorno.
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Poco male, d'accordo, seppur sia il chiaro segno di uno sceneggiatore a suo modo unico e geniale che però rimane ancora un regista elementare. Il capolavoro, probabilmente, sarebbe stato sfiorato se MacFarlane si fosse limitato a recitare e a curare lo script, lasciando la macchina da presa in mano a qualcuno più esperto e dalla visione estetica più idonea al progetto, proprio come ha fatto coi Griffin. Un milione di modi per morire nel West ha i suoi momenti divertenti, di quelli che entrano dritti nella memoria cinefilica più cult; eppure, ha anche un retrogusto di monco, di vagamente sprecato o addormentato; ci si può accontentare, e infatti per ora lo facciamo, armati di fragorosi popcorn in attesa della prossima risata.
Voto della redazione:
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