Recensione di Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza| Capolavoro di Andersson
Recensione di Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza di Roy Andersson, in Concorso a Venezia 71: un'altra opera prodigiosa per un cineasta fondamentale del nostro tempo, un artista unico che inscena la realtà come nessun altro
Il ritorno del prodigioso Roy Andersson è una benedizione che gli innamorati della settima arte non possono che cogliere come un dono dal cielo, specialmente in un Concorso decisamente avaro di grandi soddisfazioni come quello veneziano di quest’anno. Il fondamentale regista svedese ha girato infatti l’ennesimo incredibile capolavoro, A Pigeon Sat on a Branch Reflecting On Existence - Un piccione seduto sul ramo riflette sull'esistenza, che va a chiudere, ma solo per il momento, la trilogia sull’essere umano dell’autore, già comprendente Canzoni del secondo piano (2000) e You, the living (2007). In questo caso il film si autodichiara fin da subito un’opera “sull’essere un essere umano”, ed è una precisazione enfatica perfettamente comprensibile: Andersson torna infatti a guardarsi allo specchio e fissare i suoi personaggi con una radicalità ancor maggiore, estremizzando gli elementi comici e grotteschi della sua arte attraverso trentanove piani sequenza messi in piedi come dei tableaux vivants e simili, come di consueto, a delle installazioni museali.
Andersson è un Rembrandt del cinema, un’esteta sopraffino sempre a caccia della sostanza dietro la (bella, bellissima) forma. Su una singola inquadratura, come ha candidamente dichiarato in conferenza stampa, può perdere anche un mese, a volte anche due. Il che non deve stupire: ogni volta che piazza la macchina da presa Andersson delinea un vero e proprio mondo illuminante e in sé concluso, sfaccettato e pieno di dettagli. L’approdo al digitale gli ha poi consentito di lavorare in maniera ancor più sottile alla sua proverbiale profondità di campo, senza disinnescarne in alcun modo la portata. A Pigeon Sat on a Branch Reflecting On Existence non avrà la tenuta e nemmeno la ferocia di Canzoni del secondo piano, ma è ugualmente uno dei film più importanti e originali del nuovo millennio. Un capolavoro assoluto che guarda alla fine della vita e all’incontro con essa senza remore, da pari e pari, conscio di quanto il proprio umorismo caustico sia un’arma indistruttibile di sopravvivenza e di rivalsa.
Al di là della perfezione meravigliosa e abbagliante di ogni suo fotogramma, Roy Andersson fa dell’esistenzialismo beffardo un filtro attraverso cui far passare una costante messa in discussione di ciò che racconta. Senza mai essere pedante, ma col distacco crudele di chi ci tiene profondamente a non scendere a compromessi e non è disposto a cedere di un millimetro. Il cilindro che brucia e che dà su uno specchio dal quale riprendono vita uomini e donne che sembrano (e sono) provenienti da una galassia temporale lontana e perduta è l’immagine-bolla più bella e irrinunciabile di questo festival: una sequenza di commovente potenza in cui il cinema diventa il mezzo privilegiato attraverso cui affrontare la morte, sezionarla con consapevole acume critico e infine accettarla, impotenti e impassibili ma non per questo funerei a tutti i costi.
Voto della redazione:
Altri articoli che possono interessarti
Per condividere o scaricare questo video: TV Animalista
Facebook Comments Box