Da "Il discorso del re" di Tom Hooper a "Somewhere" di Sofia Coppola, ecco alcuni esempi di come un importante premio non sia poi necessariamente sinonimo di grande qualità
I premi? Sono bellissimi da esporre sul proprio comodino, e di certo servono ad ottenere un maggior rispetto nell'industria, nonché più offerte di lavoro. Eppure, non necessariamente sono sinonimi di qualità, e diversi sono gli esempi che potremmo fare di pellicole ultra-premiate, ma non i capolavori per cui vengono spacciati.
Gli Oscar, ovviamente, sono un campionario sotto questo punto di vista. Oggi tutti sono consapevoli dei limiti di un regista come Tom Hooper (e basti leggersi le recensioni del suo ultimo film, The Danish Girl), ma quando Il discorso del re vinse l'ambita statuetta d'oro come Miglior Pellicola, sembrava che l'industria avesse trovato il miglior autore della sua generazione. Tutte incontrollate esagerazioni, anche perché durante quell'edizione gareggiavano titoli di ben altro spessore, e pensiamo a Il cigno nero di Darren Aronofsky, Inception di Christopher Nolan e The Social Network di David Fincher.
Lo stesso discorso per Crash – Contatto fisico di Paul Haggis, che nel 2006 strappò all'ultimo il premio come Miglior Film a I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee. Come sia potuto accadere è un mistero (che l'Academy sia ancora più conservatore di quanto intenda far credere?), ma senza necessariamente tifare la pellicola queer, tra i nominati figuravano anche gli ottimi Munich di Steven Spielberg e Goodnight, and Good Luck di George Clooney.
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Non se la cavano meglio i festival internazionali. Al Festival di Venezia del 2010, un'edizione particolarmente ricca che vedeva in concorso pellicole come Ballata dell'odio e dell'amore di Alex de la Iglesia, The Ditch di Wang Bing e 13 assassini di Takashi Miike, la giuria capitanata da Quentin Tarantino ha avuto la pensata di dare il Leone d'oro a Somewhere di Sofia Coppola. Non un film brutto per carità, ma decisamente inferiore rispetto non solo la media della competizione, ma anche i precedenti film della regista.
Ad aver fatto il danno più recente in quel di Cannes è invece Wong Kar-wai, che nel 2006 ha assegnato l'ambita Palma d'oro a Il vento che accarezza l'erba di Ken Loach, film standardissimo e vecchio ammuffito se paragonato ad altre opere in gara come Volver di Pedro Almodovar, Il labirinto del fauno di Guillermo Del Toro, Babel di Alejandro Gonzalez Inarritu e Il Caimano di Nanni Moretti.
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Infine, giusto per completare la trinità dei maggiori festival europei, ecco la falla berlinese. Era il 2007, e gareggiavano, tra gli altri, Lettere da Iwo Jima di Clint Eastwood (!!!) e I'm a Cyborg, But That's Ok di Park Chan-wook. Sorprendentemente, però, forse per fare gli alternativi assoluti, la giuria guidata da Paul Schrader ha preferito consegnare l'Orso d'oro a Il matrimonio di Tuya di Wang Quan'an. Tanto di cappello a chi cerca di premiare nomi meno conosciuti per promuovere un autore ancora tutto da scoprire, ma la pellicola in questione è veramente innocua e poco incisiva!
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