Diretto da Steven Okazaki, dopo il tour nei festival, il documentario “Mifune: the last samurai” arriva nelle sale americane
Il nome di Toshiro Mifune è un orgoglio asiatico perché rappresenta uno dei primi divi del cinema “non bianco”, precedente addirittura all’ascesa di Bruce Lee. Affermatosi tra gli anni Sessanta e Settanta, nelle sue interpretazioni e nelle performance marziali è riuscito a scardinare il difficile pregiudizio che i giapponesi si portavano appresso a seguito del risultato del conflitto mondiale.
Invece lui, Toshiro Mifune, guerriero freddo dall’inscalfibile dignità, e una movenza tutta particolare, da tanti è stato preso come modello da imitare. Le sue collaborazioni più conosciute sono senz’altro quelle con Akira Kurosawa, per cui è stato la punta di diamante di Rashomon e I Sette Samurai fino alla Trilogia Samurai del regista Hiroshi Inagaki. Dopo 16 film in collaborazione con Kurosawa, il connubio si sfalda; Mifune arrivò anche ad alcune presenze in terra hollywoodiana, tra cui 1941 di Spielberg, ma non riprese mai lo splendore del fortunato periodo del dopoguerra in patria.
Questo ed altro nel documentario Mifune: the last samurai: scritto e diretto da Steven Okazaki, è stato presentato in prima mondiale a Venezia l’anno scorso, dopodiché si è visto tra l’Europa e gli Stati Uniti in diverse occasioni, non ultimo il Telluride Film Festival. Il documentario ci illustra come senza le grandi interpretazioni di Mifune, specialmente quando diretto da Kurosawa, non ci sarebbero stati I Magnifici Sette, Clint Eastwood non avrebbe avuto Un pugno di dollari e Darth Vader non sarebbe stato un samurai. Infatti, il film mette in luce il ruolo di modello esercitato dall’attore e l’abilità di rivisitare il filone chanbara, il cappa e spada giapponese.
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In Mifune: the last samurai sono le interviste di Spielberg e Scorsese, più una serie di vecchi collaboratori del periodo giapponese, familiari e amici. La discesa per l’attore iniziò probabilmente anche a causa del suo debole per l’alcool, che si associava ad un’altra pericolosa passione, quella per le automobili: la combinazione ha più volte avuto effetti disastrosi. Accanto alle interviste, Okazaki mostra immagini di repertorio inedite e fonda la sua analisi della carriera dell’intramontabile attore su sei delle sue più famose produzioni. Al documentario, presta la voce Keanu Reeves per la narrazione.
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