Willem Dafoe è stato ospite del Lucca Film Festival edizione 2017. Ecco l'incontro col pubblico al Teatro del Giglio del 7/4/2017
Willem Dafoe è stato ospite del Lucca Film Festival edizione 2017, presentando il film in anteprima europea “Quando un padre” con Gerard Butler, e poi un altro film al sabato, di quelli diretti dalla moglie italiana Giada Colagrande. Ha poi partecipato ad un affollatissimo Q&A con il pubblico, al Teatro del Giglio, la mattina del 7 aprile.
Dafoe proviene dal Teatro - fu tra i fondatori del Wooster Group - e dalle compagnie di recitazione, non poteva non vertere qualche domanda sulle sue passate esperienze teatrali di inizio carriera, trovandosi poi nella cornice del Giglio, e dei palchetti nei quali lo stesso Giacomo Puccini assisteva alla rappresentazione delle sue opere. A riguardo della sua decennale ed importante esperienza teatrale nella quale ha imparato tutti rudimenti del mestiere, come ogni trucco, migliore o peggiore, Dafoe ha detto: “Ciò che distingue sostanzialmente la scena teatrale dal dover recitare davanti ad una macchina da presa, o col motion capture, come mi capita di fare per i blockbuster d’azione ma anche per qualche videogioco a cui ho prestato le espressioni del volto e la mia voce, è che a teatro devo in un certo qual senso ogni volta ravvivare il personaggio che interpreto, come strappandolo alla morte. Per ogni nuova rappresentazione. Devi dire ogni volta le stesse battute e compiere i medesimi gesti, le medesime azioni. Nel cinema c’è in questo una maggiore se non proprio flessibilità, malleabilità. Quello che conta al cinema è la faccia, per la minore distanza che ovviamente intercorre con lo spettatore, per i primi piani, e i momenti, che sono molto importanti da saper cogliere. Il teatro, si potrebbe sintetizzare in un concetto, si basa sul far rivivere, il cinema sul catturare”.
Attore come detto quanto mai duttile e vario nelle sue interpretazioni e nel tipo di ruoli e di personaggi che egli ha impersonato, Dafoe sostiene di non adottare nessun metodo recitativo particolare, ma di riuscire a trasformarsi e dunque ad adattarsi alle esigenze del ruolo e dì ciò che vuole il regista, per ogni nuova parte da interpretare. “Il rapporto tra regista e attore deve basarsi sulla fiducia, bisogna dare se si vuole anche ricevere qualcosa in cambio, o di ritorno. In tutti questi anni di carriera, oramai sono nel cinema dai primi anni ottanta, il mio primo vero film fu anche l’esordio per Kathryn Bigelow, si intitolava “The Loveless”(1981), il mio modo di recitare non è cambiato molto. Solamente che adesso quando sono in scena ho spesso l’impressione di esserci già stato. E poi soprattutto, quel che è cambiato è che quando sei giovane hai delle diverse ambizioni. Oggi pongo molta meno attenzione alla mia carriera, ma di più a ciò che veramente mi piace fare o ritengo interessante, fin dal copione della parte che mi danno da leggere”.
“Amo le sfide. Non mi sono mai posto limiti, ora meno che mai. Ho sempre trovato nuove cose e nuovi stimoli facendo film con autori anche scomodi, particolari, ostici. E che a detta di tutti non erano facili o semplici, con cui lavorare. Specie per i miei colleghi attori, che non volevano in molti casi fare film con questi registi. Mi riferisco ad autori come Lars Von Trier, Abel Ferrara, Paul Schrader, con cui io ho invece instaurato un rapporto anche personale, e ho lavorato spesso. Seppure siano tutti ovviamente, molto diversi tra loro. Schrader ad esempio, è molto formale nel suo approcciarsi alla materia del film da girare. Fin da quando ho con lui esordito ne “Lo Spacciatore” (Light sleeper), oramai nel lontano 1993. All’epoca non ci parlavamo neppure, sul set, pensavo che non fosse soddisfatto di me o che non mi potesse soffrire, invece questo silenzio era la sua maniera di assentire, che tutto quello che stavo facendo, gli andava bene. Un altro dei registi il cui lavoro è stato importante, nella mia carriera, è sicuramente Walter Hill. Con lui feci infatti “Streets of Fire- Strade violente” nel 1984, nella prima fase della mia esperienza cinematografica. Hill mise in quel film tutto quello che all’epoca più gli piaceva di vedere nei film, quelli della sua adolescenza negli anni ‘50, cioè le moto, il baciarsi sotto la pioggia, le pistole. Ha messo dentro tutto quello che ho elencato, e anche di più. È stato molto piacevole.”
Dafoe esordì veramente al cinema con Michael Cimino in un ruolo alla fine non accreditato ne “I Cancelli del cielo”, ad una domanda nello specifico su di un ricordo del suo lavoro con questo grande regista da poco scomparso, abbiamo saputo che Dafoe venne licenziato, da Cimino, poiché si era messo a ridere durante la ripresa di una scena, per la barzelletta di un attrezzista. C’è stato anche modo di una domanda sul doppiaggio, che Dafoe ha detto di non amare, nonostante sia a conoscenza della grande tradizione e scuola italiana, in tal senso, riguardante le voci dei doppiatori.
Lingua l’italiano, che d’altronde l’originario del Wisconsin Dafoe comprende anche nelle espressioni più comuni, vivendo in Italia per la moglie da diversi anni, tanto che dell’Italia ha acquisito anche il passaporto, come l’amico con cui collabora da tempo e con cui ha realizzato il recente “Pasolini”, Abel Ferrara.
Attore dalla filmografia quanto mai ricca e variegata di oltre novanta film, Dafoe si sta preparando a ritornare sullo schermo in un altro dei blockbuster Marvel a cui prende parte almeno dai tempi del primo “Spider-Man” di Sam Raimi, nel 2002. Si tratta ovviamente di “Justice League”, nel quale apparirà per la prima volta un altro cattivo della lunga galleria che ha interpretato, ovvero Vulko, il quale sarà poi presente anche nel successivo e già programmato “Aquaman”; e un altro remake di cui forse non si sentiva proprio l’esigenza dovendosi confrontare con il classico diretto da Sidney Lumet, ovvero “Murder on the Orient Express”, oltre a “The Sleeping Sheperd” con Isabelle Huppert, attrice che difatti sarà anche per questa sua nuova e rinnovata conoscenza, egli a precisa domanda se ci siano degli attori che abbia come modello di riferimento e di ispirazione, ha omaggiato così: “Non seguo dei veri e propri modelli come riferimento, però ci sono degli attori che ho sempre seguito, e di cui vado a vedere i loro lavori, sempre. Che mi affascinano diciamo. E una di questi, è Isabelle Huppert.” Ha anche risposto sempre in argomento, ma rovesciandola, alla domanda se sia possibile avere una bella interpretazione in un film che poi risulti complessivamente brutto. Mentre un attore può offrire una recitazione scadente o sbagliata, in quello che poi rimane comunque un bel film. E secondo Dafoe può essere vera la seconda possibilità, ma non la prima.
Ovviamente non sono mancate le esperienze sui set italiani, in una filmografia vasta e internazionale come la sua, e nelle quali ha asserito di non avere avuto mai in alcuna di esse delle brutte esperienze o dei ricordi negativi, -sarà per politically correct di non offendere nessuno-, e soprattutto per le troupe, definite fra le “migliori in assoluto, forse per merito della grande tradizione e dell’esperienza trasmessa nei comparti tecnici, (anche per l’attività nelle professioni del cinema) tramandata e di tipo famigliare”.
Nel 1988 Dafoe interpretò Gesù ne “L’Ultima tentazione di Cristo”, diretto da Martin Scorsese.
In proposito, Dafoe ha ricordato: “Il film era molto impegnativo, e io ero il centro dell’operazione, essendone il protagonista. Interpretare Gesù è ovvio che è sempre molto impegnativo, anche solo per il confronto inevitabile con gli attori che già lo hanno impersonato in passato, alcuni passati al livello oramai di iconografia cinematografica, del Cristo. Scorsese è però riuscito a discostarsi da tutto questo. Ha fatto una sua versione unica, nell’intera Storia del cinema. E mi ha dato l’opportunità non soltanto di esserne partecipe. Ma proprio di essere il protagonista. Ho avuto modo di fare un Gesù che mi ha permesso di essere quello che mi sento sempre, quando sto recitando. Ovvero anche un performer fisico, un danzatore impegnato in un ballo. E io voglio essere così. Non compresso nel mio ego di attore, che vuole sempre mettere qualcosa di suo qualsiasi cosa faccia, o vi prenda parte. Io non sono uno di quegli attori tutti presi dal loro ego.“
Un altro dei film “difficili” da interpretare, di Dafoe è stato “Così lontano, così vicino” di Wim Wenders, nella Berlino che da poco non era più divisa dal muro. Solo lì poteva esserci l’atmosfera e la giusta ambientazione, che Wenders cercava. E il film, una sorta di seguito ideale de “Il Cielo sopra Berlino”, seppure non riuscito come il precedente, trasmette bene quelli che erano i sentimenti di quel preciso passaggio storico, anche a livello personale. Oltre che il pensare positivo per l’avvenuta riunificazione.”
Dafoe si è anche sempre molto diversificato nell’attività, tanto che come ricordato in una domanda del Presidente di Lucca & Comics and Games, egli ha preso parte ad famoso videogame “Beyond: Two Souls”, del celebre creatore di videogiochi David Cage, considerato uno dei più grandi maestri, in questo campo.
“Di videogiochi e del loro universo non ne sapevo onestamente proprio niente. Ma ho preso parte a “Beyond: Two Souls” perché è stato un processo creativo e immaginativo davvero importante e che ha avuto da insegnarmi non poco. C’è del genio e arte di gran livello, in un videogioco come “Beyond: Two Souls”, uno stile visivo unico, e pensate che David Cage nemmeno si definisce un regista, ma è un grande visionario, lavorare con lui è stato davvero interessante, ho avuto una libertà unica, e oltretutto abbiamo realizzato davvero così tanto materiale che probabilmente non sarà neppure mai visto”.
Riguardo ad una battuta in merito all’argomento, se Dafoe si preoccupi che con tutto questo materiale in motion capture digitale, egli potrà essere fatto recitare in tanti altri film nei quali egli non comparirà nemmeno o senza il suo consenso alla propria immagine, come è accaduto ad altri attori, ha risposto:
“Questo può essere un inconveniente che succede sempre, ma si dovrebbe sempre essere disponibili a rendere accessibile per il suo utilizzo ciò che si è contribuito anche con la propria immagine, a realizzare. Se con le manipolazioni di computer grafica oggi possibili, si vuole creare qualcosa di valore, ma diverso da ciò che era stato il materiale originale di partenza. Quello che conta è che anche quello nuovo sia sempre un materiale con cui potersi sentire in sintonia, con la propria recitazione per quel che mi riguarda, essendo io un attore. Lo paragono spesso all’innamoramento, per quel che è la mia esperienza personale, la mia sensibilità messa nella interpretazione dei miei personaggi. Quando sei innamorato sei in uno stato di grazia e non pensi più a te, ma all’oggetto della tua passione e del tuo desiderio. Per la prima e unica volta possibili nell’esistenza, non sei più solo tu, ma sei anche oltre la tua individualità, un’altra persona, un’altra essenza, un altro spirito. Così accade per un attore nei confronti della recitazione, e perché no, anche delle grandi possibilità offerte di espandere essa, grazie oggi alla tecnologia”.
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