Recensione di Melbourne di Nima Javidi: Un esordio serrato e ansiogeno tutto tra quattro mura e in tempo reale sulla perdita delle responsabilità individuali. Fuori concorso alla Settimana della Critica di Venezia71
Un uomo, una donna, un bambino (non loro). Una partenza imminente. Una morte improvvisa. E le conseguenze, sempre più irrefrenabili, sempre più irreparabili, sempre più imperdonabili.
Si muove su linee narrative semplici e nette, Melbourne, l’esordio di Nima Javidi e nome della città del sogno dei due protagonisti, di una chimera di futuro, di una salvezza dorata all’orizzonte che si macchia di sangue minuto dopo minuto. È un thriller domestico di serrata tensione, un dramma psicologico, una parabola claustrofobica rapida e asciutta, quasi in tempo reale, chiusa tra quattro mura soffocanti che straripano della gioia della partenza e che nel giro di un accadimento distruttivo si fanno prigione di colpa, bugie, corse contro il tempo, improvvisazioni funeste, fughe da se stessi e sede di continui attacchi dall’esterno. Il conflitto si stringe a due corpi, in una stanza buia e chiusa, che assistono impotenti e colpevoli alla lenta discesa negli inferi di una realtà che si affannano a negare e camuffare, ma che arde come un fuoco.
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La nuova cinematografia iraniana è un regno foriero di stimoli: se la gloria è arrivata con Una separazione di Asghar Farhadi, vincitore dell’Oscar 2012 come Miglior film straniero, ulteriore acclamazione suscita Melbourne, che al film di Farhadi è stato più volte accostato ma che è in grado, nel suo essere più conciso, concentrato, urgente e immediato, di superarlo in efficacia.
I personaggi del condominio ruotano intorno a due pianeti impazziti, a una coppia che si dispera analizzando i detriti della scena del delitto, tornando indietro agli indizi per stabilire una colpa precisa, ma causando semplicemente l’implodere della tragedia, la vittoria della cecità, della paura.
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Tutto questo raggiunge lo zenit in un finale azzeccatissimo, che conferma la circolarità della colpa, la reiterazione infinita, la vigliaccheria di una irrisoluzione che s’imprime come un marchio sull’unica vera decisione presa, una scia di sangue invisibile a perseguitare per sempre una generazione incapace di affrontare la realtà, di venire alle prese con la verità scomoda dei propri peccati, di gettare la maschera di un’inerzia degenere atta a fuggire le responsabilità individuali.
Opera lucidissima e incalzante nella sua denuncia priva di fronzoli, Melbourne potrebbe averci rivelato la nascita di un autore da tenere d’occhio.
Voto della redazione:
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