Recensione di Storie pazzesche | Le bizzarre coincidenze astrali che fanno perdere il controllo
Recensione di Storie pazzesche: attacchi sanguinolenti, azioni esplosive e adrenalinici punti di rottura, con la sua commedia pulp Damián Szifrón porta le nostre frustrazioni all’esasperazione comica; in concorso a Cannes 2014
Se volete avere una vita tranquilla Damián Szifrón suggerisce: non offendete il prossimo, non fatevi corrompere, non guidate in stato di ebbrezza e soprattutto, non rovinate mai e poi mai il matrimonio di una donna. Al suo terzo lavoro il regista argentino (inedito nelle sale italiane) fa tesoro di un particolare periodo di sconforto per regalarci un incandescente e lungimirante promemoria: non dimenticare mai quanto le cattive azioni possano ritorcersi contro (a tal proposito appuntatevi il nome Gabriel Pasternak).
Sei racconti per sei personaggi in cerca di riscatto, presentati a Cannes 2014 e accomunati da rabbia latente, la cui ultima goccia trabocca in uno scatenato e “furiosissimo sdegno” (direbbe il Samuel L. Jackson tarantiniano). Szifrón prende per mano la commedia mentre strizza l’occhio al cinema pulp, elargendo attacchi sanguinolenti, azioni esplosive e adrenalinici punti di rottura. Storie Selvagge (nella traduzione fedele all’originale) è il frutto della violenza catartica che tracima dai confini delle fantasie più remote, per affacciarsi sull’innegabile piacere di perdere il controllo.
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Non è semplicistica pazzia come il titolo italiano vuole farci credere (ignorando in un colpo solo sia i caratteristici e animaleschi titoli di testa, sia lo spirito che governa il film), piuttosto è il primitivo istinto di sopravvivenza. Sfrenato all’ennesima potenza, a metà strada tra Un giorno di ordinaria follia e Sei gradi di separazione, prodotto in chiave disfunzionale, comica, farsesca e pur totalmente tragica. Quasi fosse il naturale ciclo darwiniano trasformato dalla società: l’adattamento muta oggi in vendetta e gli animali in gabbia incompresi, ingannati o frustrati siamo noi, che rispondiamo alle minacce dell’ambiente con un sovraeccitato e illogico livore. Da omicidi imprevisti, crimini passionali, trattative milionarie fuori controllo, fino all’isterica allegria psicopatica di una sposa.
Eppure quello del regista non è un esercito (né esercizio) di killer, i suoi barbari personaggi semmai sono delusi o costernati, preoccupati o umiliati, stanchi, intimoriti, vigliacchi o troppo ricchi. Umani a nervi scoperti, autolesivi per amore e ribelli per dolore, tutti però coinvolti in una progressiva e viscerale esasperazione. Szifrón resta perlopiù in superficie, si diverte e ci diverte, mostrando nella sua ascesa di bizzarre congiunzioni astrali il lato catastrofico e indomabile di noi stessi. Certo non mancano le riserve, la sensazione che tutto accada troppo velocemente, ma camminiamo sul filo della (in)civiltà, realistica a sufficienza per farci venire il magone e grottesca quanto basta per farcelo passare. Presenta Pedro Almodóvar e alle musiche del premio Oscar Gustavo Santaolalla (I segreti di Brokeback Mountain) si aggiungono note di lirica, momenti dance e pezzi di malinconia (su tutti Ricardo Darín).
Voto della redazione:
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