Ottima l’accoglienza riservata a “Mountains May Depart”, nuovo melodramma del regista cinese Jia Zhang-Ke. Un film lungo e contemplativo ma che arranca notevolmente sul finale
Torna in concorso, a distanza di due anni dal suo Il tocco del peccato, il regista cinese Jia Zhang-Ke che firma il melodramma Mountains May Depart, film suddiviso in tre atti che prova a raccontare una storia d’amore attraverso un lungo periodo temporale di circa 25 anni. L’idea alla base del progetto non è assolutamente tra le più originali o innovative, però il regista opta per uno schema, appunto tripartito, in cui ogni atto lavora come fosse slegato dal resto. Per sottolineare maggiormente questa sua scelta (oltre all’idea di girare ogni capitolo con un formato d’inquadratura diverso), il cineasta inganna il pubblico inserendo il titolo del film e il proprio nome esattamente a cavallo tra il primo blocco e quello successivo, come a suggerire una forte cesura.
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Nel complesso il film funziona più che discretamente, avvalendosi di una scrittura incalzante e coinvolgente e di una regia asciutta, ma incisiva. Zhang-Ke è interessato ad indagare la potenza della memoria e dei sentimenti, i quali si sedimentano dentro di noi per apparentemente sparire. Indubbiamente però riemergeranno quando meno ce lo aspettiamo. Approfittando delle più di due ore di pellicola a disposizione, il regista ha anche il tempo di raccontare una storia di amicizia, abbozzare una critica sulle differenze sociali del suo Paese e provare ad affrontare la voglia di scappare da se stessi (poiché privi di una vera identità) prima ancora che dalla propria famiglia. Ciò che purtroppo lascia un po’ interdetti è il terzo e ultimo atto, non solo perché decisamente più debole dei precedenti (la storia è poco credibile e sbrigativa), ma anche perché commette l’errore di non portare a termine le parentesi aperte nei minuti precedentemente trascorsi.
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