Fresca di nomination all'Oscar per "The Imitation Game", l'attrice britannica in un'intervista si scaglia contro il mondo dell'industria cinematografica, a suo dire un po' troppo maschilista.
Fresca di nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista in The Imitation Game, la star britannica Keira Knightley in una sua recente intervista al magazine Violet non le ha mandate di certo a dire. L’attrice ha, infatti, sollevato l’annoso problema della disparità di genere in merito alle possibilità di lavorare davanti e dietro la macchina da presa nella più grande industria del cinema al mondo, Hollywood. In questo, l’attrice si accomuna alle recenti dichiarazioni di Bjork, superstar islandese della musica internazionale, che aveva lamentato la stessa e identica situazione all’interno del mondo dell’industria discografica.
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Ecco alcuni brani delle sue dichiarazioni: “Dove sono le storie che parlano profondamente di donne? Dove sono le storie di registe o di scrittrici? A mio parere esiste un enorme sbilanciamento che non riesco a spiegarmi, visto e considerato che noi donne rappresentiamo una metà del pubblico pagante che va al cinema a vedere i film e vuole vedersi rappresentata al pari degli uomini. Sono molto preoccupata dal fatto che la nostra voce proprio non venga ascoltata”. È di fatti molto interessante questa particolare annotazione che fa Knightley: “Non riesco a capire perché, nei film in cui recitano, i problemi affrontati dalle donne riguardano principalmente la sfera domestica e familiare e non l’ambiente e il contesto di lavoro”.
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In The Imitation Game, l’attrice ha interpretato il ruolo della matematica Joan Clarke, che assiste il crittoanalista Ian Turing, interpretato da Benedict Cumberbatch, nel tentativo di decifrazione dei codici di guerra prodotti dalla macchina tedesca Enigma durante la seconda guerra mondiale. Secondo Knightley, questa sua esperienza è stata qualcosa di anomalo e non rappresenta la norma.
L’attrice ha inoltre sottolineato quanto sia stato per lei importante lavorare con registe donne che l’hanno aiutata a comprendere la necessità di abbandonare lo stereotipo della recitazione soft e amorevole nei ruoli femminili. “Non so cosa sia successo negli anni 80, 90 e in quelli seguenti, ma di certo qualcosa ha contribuito a ridurre il femminismo a un fenomeno di cui vergognarsi, quando invece era un movimento che lottava per parità di diritti, opportunità, rispetto e remunerazione fra uomini e donne. Ancora oggi - ha concluso - siamo molto lontani da tutto questo”.
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