Recensione di The Equalizer – Il vendicatore | Thriller raffazzonato con un granitico Denzel
Recensione di The Equalizer – Il vendicatore di Antoine Fuqua: Thriller ritrito che gioca d’accumulo raffazzonando situazioni, con un Washington statico in un ruolo che ripete da anni
Antoine Fuqua la pellaccia dura del regista d’azione ce l'ha da sempre e l'ha rodata lungo tutta la sua carriera azzeccando alcune incursioni mordaci (non solo Training Day ma anche lo sbeffeggiato King Arthur) e molte altre meno. Questo The Equalizer – titolone un po’ autocompiaciuto per cui il protagonista si indica in quanto "appianatore" di conflitti e non mero vendicatore sanguinario, come invece suggerisce l’aggiunta italiana – è un prodotto-Frankenstein, nel senso che assembla pezzi di trame, accadimenti, situazioni, evocazioni già vissute e inscenate da innumerevole altre pellicole prima, rimesse insieme e rianimate per formare un ennesimo corpo filmico il quale però vale meno di ognuno dei ricicli di cui si compone.
Vediamo il granitico, ennesimo ricalco di se stesso Denzel Washington killer garbato, col cuore spezzato e l’insonnia ma altruista e benefattore in stile Léon che s’affeziona a una pargola, una baby prostituta (la Moretz qui è più fragile e ha un minutaggio scarso rispetto alle sue ultime prove, sarà per questo che risulta più convincente); quando la ragazzina, nel giro del servizio escort russo, viene picchiata a sangue, l’uomo decide di vendicarla à la Taxi Driver punendo i suoi aguzzini e padroni.
Tutto questo – il motore dell’azione e la rapida amicizia nata quasi casualmente tra i due, più che un legame un’affinità istintiva data per scontata – si rivela puro pretesto esaurendosi nei primi 20 minuti per poi lasciar spazio al susseguirsi delle carneficine, perché a quel punto Denzel/McCall da una giustizia privata passa a trovarsi nel mirino dello psicopatico boss Nicolai e deve piacevolmente sgominarne i tirapiedi a manetta.
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The Equalizer stanca subito, perché Fuqua raffazzona formule/momenti/dispositivi reiterati innestandoli in un accumulo frenetico, rivelandosi però incapace di scontornare le banalità, personaggi che sono macchie(tte) bianconere di un manicheismo che si raggruma in superficie senza scavarla e che non è bilanciato o riscattato da una sazietà visiva che vada al di là del déjà vu adrenalinico (immancabile persino l’eroica camminata al ralenti sullo sfondo di un’esplosione incendiaria).
Un film che è noiosa copia conforme, macchina oliata da centinaia di precedenti, ma arrugginita, in cui ci becchiamo persino un momento in cui Washington dimostra una vista da falco in grado di fargli visualizzare in un nanosecondo tutti i punti di forza del campo d'azione nemmeno fosse lo Sherlock televisivo. Soprattutto, per un titolo che non ha nulla di nuovo da dire né nulla di vecchio da raccontare in maniera nuova, la durata di oltre due ore (con tanto di sortita notturna finale interminabile e pompatissimo faccia a faccia tronfio sotto la pioggia) è decisamente eccedente.
Voto della redazione:
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