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Autore Camilla Maccaferri :: 25 Novembre 2014
Magic in Moonlight locandina

Recensione di Magic in the Moonlight. L'ennesimo film "turistico" di Woody Allen, verboso e insipido, con uno spento Colin Firth

Siamo abituati ormai da anni al cinema “turistico” di Woody Allen: è dai tempi di Vicky, Cristina, Barcelona (2008) che il cineasta newyorkese approfitta delle sue produzioni per concedersi lunghe vacanze all’estero, che spesso sembrano essere l’unico spunto (o pretesto) a giustificare le proprie opere.

Eppure, con Blue Jasmine (2013) sembrava che qualcosa fosse cambiato, che Woody fosse tornato ad avere qualcosa da dire: la felice parentesi, purtroppo, era destinata a chiudersi immediatamente.

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Il vuoto pneumatico di Magic in the Moonlight fa quasi rimpiangere i tempi del ridicolo involontario di un’opera di rara bruttezza e disarmonia come To Rome with Love (2012): almeno, in quell’occasione, Allen sembrava avere delle intenzioni, per quanto spicciole e affogate in un mare magnum di imbarazzanti luoghi comuni. In questo caso, invece, il nulla totale: con  una verbosità pedante di cui solo lui è capace nei momenti peggiori, il regista delle nevrosi snocciola dialoghi su dialoghi, parlandosi addosso attraverso i suoi spenti personaggi e ritornando, con un’ossessività che assomiglia più che altro ad annebbiamento senile, su temi che da anni lo interessano.

Di magia e inganni, truffe e percezioni paranormali, contrapposizione tra razionalismo e spiritualismo si era già discusso abbondantemente nell’impalpabile (ma non sgradevole) Scoop (2006) e  nell’assai discutibile Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni (2010): ripescare gli stessi temi senza avere nulla di nuovo da aggiungere non è, in partenza, una scelta felice.

Se si somma a questo una totale mancanza di idee anche dal punto di vista registico, oltre che di scrittura, si ottiene un prodotto totalmente piatto, senza alcuno spunto, mortalmente noioso e il cui significato globale sfugge al pubblico, narcotizzato da una sequela interminabile di ciance.

Anche il cast si adegua al generalizzato grigiore: insipido, e a tratti irritante, Colin Firth, illusionista razionalista che (a sorpresa…) rappresenta il nevrotico alter ego di Allen, stridula e forzatamente spumeggiante la “sensitiva” Emma Stone. I paesaggi del Sud della Francia scorrono piatti e ripetitivi come le vicende, senza riuscire ad aggiungere neanche un pizzico di fascino a un’opera che, a dispetto del titolo, di magico non ha proprio nulla.

I dubbi del protagonista Stanley (Firth) che si interroga sul bisogno di spiritualità, anche in senso mistico, risolvendo poi tutto a tarallucci e vino, assomigliano più che altro alle ambasce di un anziano regista, tormentato dalla necessità di lavorare a tutti costi pur avendo esaurito gli argomenti e impaurito dall’avvicinarsi della morte.

[Leggi anche: Primo trailer per Magic in the Moonlight di Woody Allen]

Un’opera incolore e insapore, come le chiacchiere di un gruppo di vecchiette che giocano distrattamente a carte sorbendo il tè delle cinque: speriamo che almeno Allen, comunque ammirevole per l’ostinata costanza che lo spinge a produrre in continuazione, abbia apprezzato il suo soggiorno-premio nel Sud della Francia. 

Trailer di Magic in Moonlight

Voto della redazione: 

2

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