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Autore Davide Stanzione :: 2 Settembre 2014
Reality di Quentin Dupieux

Recensione di Reality di Quentin Dupieux: presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 71, un film di sregolatezza surreale, folle ma anche buffo, fuori di testa e sempre irresistibile

Quentin Dupieux, oltre a confermarsi un regista sempre più folle, pare aver imboccato in modo pressoché definitivo la via della maturità artistica. Lo ribadisce il suo ultimo film, Reality, presentato a Venezia 71 nella sezione Orizzonti, che unisce la sregolatezza surreale da ragazzaccio delle periferie americane che tanto gli è cara alla consapevolezza che in nessuno dei suoi film vi potrà mai essere una visione armonizzata, perfino geometrica dei suoi incubi e di certe bislacche apparizioni. Dupieux sembra accogliere quest’aspetto con rassegnazione divertita e il risultato infatti è impagabile in quanto a stranezza e sorpresa. Perché ogni colpo di coda, anche il più strampalato, sulla scorta di tale atteggiamento viene accettato con la massima naturalezza ed è l’intero meccanismo alla base del cinema del regista canadese a guadagnarne in freschezza ed efficacia.

Nel film di Dupieux troviamo una bambina che intende sapere cosa c’è dentro quel VHS ritrovato nel ventre di un cinghiale che il padre ha ucciso senza neanche vederlo e un cameraman, Jason, che vorrebbe fare il salto ed esordire alla regia con una storia di fantascienza un po’ paradossale. Bob Marshal, produttore influente, decide di finanziare il film solo se Jason sarà in grado di trovare entro quarantott’ore l’urlo più spaventoso di tutta la storia del cinema. Ed è così che il personaggio interpretato da Alain Chabat passa le notti (ma non solo) chiuso in macchina a provare e riprovare, perché da quel suono dipendono le sorti di tutta la sua carriera. Il film è un divertissement impazzito ma ha il coraggio di guardare stavolta a un cinema più alto del solito: non più i dettami estetici della Troma da rivisitare come in un grezzo e tamarro videoclip contemporaneo, che è l’abituale cifra stilistica di Dupieux, quanto piuttosto gli echi non troppo lontani dell’onirismo lynchano che risuonano, ovviamente parodiati, nel contesto di un film metacinematografico simile a una barzelletta interminabile.

Dupieux, o se preferiamo Mr. Oizo, si diverte a scombinare le carte, non si prende mai sul serio e fa valere la sua marcia in più. Rallegra opprimendo con stile e piacevole, autoironica schizofrenia e riafferma di essere un autore dallo sguardo inclassificabile e originale anche nella dimensione più elevata della satira cinematografica e non solo un regista di culto. A Reality si perdona un po’ tutto proprio perché gli si riconosce la sincerità di fondo di un cinema naif che gioca a carte scoperte, guardando in faccia i propri limiti e ridendo insieme allo spettatore di essi e di molto altro, per di più inquietandolo in modo improbabile e sfidandolo a smascherare la burla e il suo funzionamento interno, i suoi orizzonti e le sue prospettive. Consapevole del fatto che una facezia così ben congegnata come la sua si fa davvero fatica, giustamente, a liquidarla con faciloneria.

Trailer di Reality

Voto della redazione: 

3

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