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Autore Alessandro Tavola :: 13 Ottobre 2015
Locandina di Suburra

Recensione di Suburra di Stefano Sollima con Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola: un inferno crudo e multiforme, un cinema che continua a scoppiare e di cui godere senza riserva e probabilmente un nuovo punto di riferimento

ACAB - All Cops Are Bastards, la serie di Romanzo Criminale e quella di Gomorra: il vate del crime italiano torna al cinema con Suburra, affresco infernale e fradicio della Roma di oggi (ma anche di ieri e di domani) con protagonisti Pierfrancesco Favino, Elio Germano e Claudio Amendola.

Se qualcosa odorava di “La grande bellezza balorda”, i dubbi sono da subito fugati. Basta vedere come nel plurimo incipit una festa sontuosa viene subito liquidata per dare spazio al marcio che si vuole mettere in scena e come le gerarchie del potere vengano subito annullate: Stefano Sollima non ha venduto l’anima al diavolo, se l’è fatta vendere, e con Suburra arriva a mettere in scena la sua nuova sinfonia criminale nel migliore dei modi.

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Poco importa quanto naif risulti l’incastro dei personaggi, quanto i causa-effetto scorrano veloci, come le dinamiche sociali siano esili, anzi. Come in Gomorra – La Serie, Sollima utilizza il tutto come un cavallo di Troia imbottito di rabbia animale e di puro istinto acre da scaraventare attraverso lo schermo. Il suo cinema (o, visti i trascorsi seriali, semplicemente il suo narrare) sfrutta e assottiglia determinati meccanismi per dedicarsi totalmente a dipinti di violenza che questa volta si fanno ancora più globali e omnicomprensivi, trasversali alle classi e multiformi, scanditi dalla distruzione (per incendio, per droga, per accoltellamento, in una gabbia) come se quello in scena fosse un bestiario mitologico sullo sfondo della fine del mondo.

Da Favino che piscia nudo su Roma alle vendette silenziose, dalle facce distrutte alle sparatorie nei centri commerciali, la Roma di Suburra è un inferno polimorfo, che affonda nella pioggia torrenziale che risorge dai tombini e nella colonna sonora (a firma elettronica quasi esclusiva ed ossessiva degli M83), in un correre senza sosta di suggestioni, verso quell’apocalisse annunciata dai cartelli nei primi momenti, unica autentica protagonista del film.

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I luoghi e i personaggi cadono a pezzi: non c’è un eroe (e di poliziotti nemmeno l’ombra), nessuno merita di essere salvato e, soprattutto, Sollima non ce ne fa sentire la necessità. L’immedesimazione in Suburra è laterale, è testimonianza di continui atti violenti che, se potessero, girerebbero su loro stessi all’infinito, spettacolo violento ed impietoso. Ma anche andando oltre questo approccio greve, basterebbe il fatto che praticamente ogni scena di Suburra è un dispositivo che non tarda ad esplodere, una granata cinematografica di cui godere senza riserva, un polposo pezzo di cinema crime e d’azione, dove gli sguardi tagliano, la fisicità scoppia e il sangue sgorga puntuale e insostituibile.

Senza il minimo autocompiacimento, il regista accompagna con una maestria altrove irrintracciabile ogni dipinto, ogni tortura medievale cruda e moderna a cui ci sottopone e ci ridà alla nostra dimensione di pubblico da sedurre, sorprendere, riempire, angustiare, allontanare da se stesso, attraverso un’abilità e una capacità nel concepire il “genere” che sembrava andata perduta, fatta di riprese, colori, montaggio, impeti e non di altro. Suburra è un'incursione in un regno animale in cui la catena (o cerchio) alimentare è visto solo dagli occhi dei predatori: la ferocia è l’unico modo di esistere e per la pietà non c’è posto. Come se si narrasse di un’epidemia dilagante che trasforma tutto e tutti in un qualcosa di famelico e destinato alla morte, capace di rendere i luoghi fantasmagorici (su tutte, spoiler a parte, vince la sequenza della sparatoria al centro commerciale) e i personaggi autentiche belve.

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E come detto in cima, forse l’unico difetto del film è il suo impianto pretestuoso; ma ne segue che uno dei suoi grandi pregi è il saper rendere ciò molto poco importante. Sarà perché il tutto sembra anche appartenere all’universo di Gomorra – La Serie (qui l’apocalisse arriva, lì c’è già stata) o per il preannunciarsi della sua stessa incarnazione seriale, Suburra pare essere il centro di una trasformazione (del cinema, delle serie, del narrare audiovisivo) necessaria, auspicabile, fattibile. Unico e per ora insostituibile punto di riferimento assieme al suo autore, affiancabile oggi solamente da un unico altro film, che purtroppo non avrà seguito, quel Non essere cattivo di Claudio Caligari con cui condivide la presenza cardine Alessandro Borghi nel cast.

Trailer di Suburra

Voto della redazione: 

4

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