Recensione di Trash di Stephen Daldry con Rooney Mara e Martin Sheen | La vita di tre bambini in una discarica brasiliana e l'occasione di intaccare il potere: una lettura banalmente idealizzante della difficile realtà delle favelas
Dopo aver portato sullo schermo l'adattamento del bel romanzo di Jonathan Safran Foer Molto forte, incredibilmente vicino, con risultati che strozzavano l'originale struttura del libro, finendo per banalizzare gli eventi dell'11 Settembre, nonché la versione cinematografica di A voce alta – The reader di Bernhard Schlink su un altro argomento delicato quale l'olocausto, Daldry continua a insistere sulla letteratura con Trash, trasposizione dell'omonimo romanzo di Andy Mulligan.
Anche quest'ultimo lungometraggio commenta una situazione reale: la storia è ambientata in una delle tante favelas brasiliane dove gli abitanti, soprattutto bambini, lavorano nelle discariche. Qua Raphael, il piccolo protagonista, troverà un portafogli di inestimabile valore, non per i soldi ma per per le prove sugli atti di corruzione del candidato sindaco contenute all'interno. Con gli amici Gardo e Rato, si metterà sulle tracce del proprietario del borsello, coadiuvato da due missionari americani, la maestra Olivia (Rooney Mara) e il prete beone Padre Juliard (Martin Sheen).
Le intenzioni del film potrebbero sembrare buone, inclusi i riferimenti alle recenti proteste di piazza in occasione delle accuse di corruzione dei poteri brasiliani durante le Olimpiadi. Si tratta purtroppo di premesse sfruttate superficialmente senza un reale interesse alla povertà di un popolo da tempo senza dimora e lavoro, o al divario economico con i pochi privilegiati, rifugiati nelle zone sicure della città. Apparentemente non c'è disagio nei bambini che quotidianamente rovistano tra i rifiuti; anzi, il dolore è concentrato sui bravi americani che si fanno carico delle ingiustizie della favela mentre i cattivi poliziotti corrotti divengono gli unici responsabili di una disperazione senza cause e senza effetti. Scritto da Richard Curtis (Quattro matrimoni e un funerale, Notthing Hill, Love actually, I Love Radio Rock), Trash mantiene facilmente l'attenzione, con una colonna sonora composta da accattivanti brani rap brasiliani e momenti di azione giocati dall'agile fisicità dei bambini protagonisti, spigliati e divertiti dalla situazione più che spaventati, con abilità da parkour sui tetti della baraccopoli.
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Manca completamente però un barlume sincero di realtà in Trash e l'happy ending conferma l'ipocrisia di un sentimentalismo votato al botteghino e alla rassicurazione del buon animo dello spettatore. Senza mai abbandonare il filo sotteso della morale cattolica, Trash si maschera bene da pellicola socialmente consapevole, ma proprio con questo suo essere “solidale” a una realtà così particolareggiata nelle sue sfumature, non facili da interpretare, la definisce come sfacciata beffa.
Voto della redazione:
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